25 Settembre 2018 :
Si è concluso il 9 settembre uno sciopero nazionale dei detenuti di 19 giorni, iniziato il 21 agosto. I detenuti statunitensi hanno concluso oggi uno sciopero nazionale di 19 giorni che aveva una piattaforma di rivendicazioni ampia, e con l’impegno a insistere per riconquistare il diritto democratico al voto del quale sono stati privati circa 6 milioni di cittadini “con precedenti penali”. Lo sciopero era previsto sin dall’inizio che terminasse il 9 settembre per ricordare la rivolta del 1971 di Attica, il principale penitenziario dello stato di New York. Quella rivolta, la più sanguinosa della storia moderna del sistema carcerario statunitense, era patita il 9 settembre 1971 per protesta contro l'uccisione, da parte di alcune guardie carcerarie, dell'attivista politico George Jackson, membro delle Pantere Nere, uno dei principali movimenti per l'emancipazione dei diritti dei neri, avvenuto il 21 agosto precedente nella prigione californiana di San Quintino. Durante la rivolta 1280 dei 2200 detenuti, per la gran parte afroamericani e portoricani, presero in ostaggio 38 persone, tra guardie e impiegati. Durante i primi giorni della rivolta di Attica, i detenuti uccisero 1 agente e 3 detenuti considerati “spie”. La rivolta si concluse, su esplicito ordine dell’allora Governatore dello stato di New York Nelson Rockfeller, con una massiccia irruzione di esercito e polizia. Sul campo rimasero 39 vittime (10 agenti penitenziari e 29 detenuti), e più di 200 detenuti feriti, di cui 80 in modo grave. Nei giorni seguenti la stampa locale affermò che le gole degli ostaggi erano state tagliate dai rivoltosi, cosa che risultò del tutto infondata dalle successive autopsie, che appurarono che tutti i decessi erano stati provocati dalle pallottole delle forze dell'ordine. Lo protesta di quest’anno è stata indetta in risposta alla rivolta di aprile in un carcere di massima sicurezza del South Carolina, il Lee Correctional Institution. In uno scontro tra gang sono rimasti uccisi 7 detenuti, e 22 sono stati i feriti. Gli agenti sono intervenuti solo dopo 4 ore, suscitando forti polemiche, tra le altre, sulla loro impreparazione. Questo sciopero, secondo gli organizzatori, segue di due anni uno sciopero nazionale, incentrato prevalentemente sul tema del lavoro in carcere, che in molti stati è obbligatorio e prevede compensi di pochi centesimi l’ora. Dai comunicati stampa delle associazioni organizzatrici non si evince quanti detenuti abbiano partecipato, ma sembra abbia coinvolto strutture carcerarie in almeno 17 stati (California, Florida, Georgia, Indiana, Kentucky, Maryland, Michigan, Missouri, New Mexico, North Carolina, New York, Ohio, South Carolina, Texas, Virginia, Washington), con modalità non uniformi. La difficoltà a stilare un resoconto finale viene in gran parte attribuita all’inasprimento delle regole sulla censura, e su “tattiche di rappresaglia” messe in atto dalle amministrazioni penitenziarie, che avrebbero trasferito i detenuti coinvolti, li avrebbero isolati, privati del diritto ad effettuare telefonate, ed avrebbero fortemente rallentato l’arrivo e la partenza della posta. La protesta non ha avuto, questo è assodato, un carattere uniforme: in alcuni casi sono stati attuati scioperi della fame, in altri “boicottaggi”, in altri il rifiuto di svolgere mansioni lavorative o sit-in. Alcune forme di protesta hanno cercato di boicottare le attività apparentemente minori che producono reddito per il sistema carcerario, chiedendo ai detenuti e ai loro parenti in visita di non acquistare beni dagli spacci interni, o dai distributori automatici. Quando lo sciopero è stato avviato, le associazioni che hanno aiutato ad organizzarlo (tra le altre Jailhouse Lawyers Speak, Prison Slavery, The Bay View, Shadowproof, Support Prisoner Resistance, Incarcerated Workers Organizing Committee, Commondreams.org , e American Civil Liberties Union Campaign for Smart Justice) avevano pubblicato una piattaforma di rivendicazioni in 10 punti: -Miglioramento immediato delle condizioni delle prigioni e dei regolamenti penitenziari che riconoscano l’umanità di uomini e donne carcerati; -Fine immediata della schiavitù carceraria. Tutte le persone incarcerate in qualsiasi luogo di detenzione sotto la giurisdizione degli Stati Uniti devono essere pagati con la paga tipica dello stato o del territorio in cui lavorano; -Deve essere abrogato il “Prison Litigation Reform Act” (legge che regola le procedure di reclamo dei detenuti per qualsiasi loro motivo, ndt), consentendo agli esseri umani imprigionati un canale adeguato per affrontare le lamentele e le violazioni dei loro diritti; -Devono essere abrogate le leggi “Truth in Sentencing Act” e “Sentencing Reform Act”, in modo che gli esseri umani detenuti abbiano la possibilità del reinserimento e della libertà condizionale. Nessun umano dovrebbe essere condannato alla Morte per Incarcerazione o scontare una pena senza possibilità di libertà condizionale; -Fine immediata dell’aumento dei capi di imputazione e delle pene su base razziale e della negazione della libertà condizionale agli umani neri e latini. Le persone nere non devono più veder negata la loro libertà condizionale perché la vittima del reato era bianca, un problema particolarmente sentito negli stati del Sud; -Fine immediata delle leggi razziste che aumentano le pene per le gang, leggi che mirano alle persone nere e latine; -A nessun detenuto deve essere negato l’accesso ai programmi di reinserimento nel luogo di detenzione perché etichettati come violenti; -Le prigioni statali devono ricevere fondi destinati all’offerta di maggiori servizi di reinserimento; -Le borse di studio governative denominate “Pell Grants”, che in passato venivano concesse anche ad ex detenuti che volevano completare gli studi all’interno di un percorso di riabilitazione, devono essere reintrodotte in tutti gli stati e territori statunitensi; -Ai detenuti, imputati in attesa di processo ed ex detenuti deve essere restituito il diritto di voto. Quest’ultimo punto sembra essere il più importante, oppure, secondo alcuni commenti, il “meno impossibile”, e quindi quello su cui insistere. In fin dei conti, notano alcuni dei detenuti che hanno inviato messaggi all’esterno, se un ex detenuto, una volta scarcerato, deve pagare le tasse, allora non si vede perché non debba avere voce in capitolo, rappresentanza, quando la comunità decide come spendere le tasse. Più in generale, la revoca del diritto di voto sancisce che molti cittadini sono considerati “cittadini di serie B”. La proposta che viene dal mondo carcerario è che il diritto di voto venga restituito a chi ha finito di scontare la pena ed abbia anche completato il percorso di libertà condizionale o sulla parola. Attualmente gli stati hanno leggi diverse, ma in media il diritto di voto viene restituito solo a chi è condannato per reati non gravi, e dopo 5/10 anni da quando il detenuto ha finito di scontare la pena. Si stima che nella sola Florida il provvedimento potrebbe riguardare circa 1,5 milioni di cittadini, circa 6 negli interi Stati Uniti. Alcuni ritengono che la cifra potrebbe essere anche più alta, considerato che il sistema carcerario statunitense, tra carceri federali, statali, di contea, minorili, e centri di detenzione per immigrati clandestini conta oltre 2.3 milioni di detenuti.