TAGLIAMO I PONTI COL REGIME, SERVE UN PIANO PER LIBERARE L’IRAN

18 Gennaio 2025 :

Roberto Rampi su l’Unità del 18 gennaio 2025

Cosa ci insegna la vicenda dell’arresto e del rilascio di Cecilia Sala in Iran? La felicità per il rilascio e per il rientro in Italia, a maggior ragione di una giovane donna e di una giornalista, dal terribile carcere di Evin. Il silenzio che la stampa italiana ha rispettato per favorire il buon esito delle trattative. La correttezza delle opposizioni verso il governo durante tutta la vicenda e dopo il risultato, nonostante certe uscite di cattivo gusto di alcuni apparati di propaganda. Tutto questo non può oggi consegnarci a un sereno appagamento, a una rilassata soddisfazione.
Perché tutto quanto accaduto ci grida in faccia la gravità della situazione che alcuni di noi da anni evidenziano, che milioni di esuli iraniani nel mondo e le loro organizzazioni democratiche ci ricordano ogni giorno, numeri alla mano. Una disperata situazione dei diritti umani in un Paese che uccide i suoi cittadini e li arresta arbitrariamente. Un Paese dove non vige alcuno stato di diritto e dove il potere può disporre senza alcuna regola e alcun limite della vita e della morte delle persone.
Come ha fatto per Cecilia Sala, arrestata e incarcerata senza nemmeno prendersi la briga di definire un capo di imputazione, e per la quale non c’è stato nemmeno una parvenza di forma giuridica. Arrestata perché era utile per uno scambio, rilasciata perché si erano ottenute le garanzie richieste, che si sono puntualmente realizzate.
Quel che ci dobbiamo domandare ora è: si può pensare di viaggiare, di fare affari, di compiere attività, di muoversi per lavoro in un Paese di questo tipo? Se la solidarietà verso le migliaia di iraniane e iraniani che vengono ogni giorno uccisi, torturati, arrestati, violati in ogni diritto più basilare non ci basta per capire che dobbiamo interrompere ogni sostegno economico e ogni supporto al regime, almeno questa eclatante vicenda che ha riguardato una nostra concittadina, così come prima di lei altri di altri Paesi, sia da sprone per capire che l’odierno governo dell’Iran non è quello di uno Stato con cui si possano avere normali relazioni e che in un contesto di arbitrio e di mancanza di diritto nessuno è al sicuro.
Se queste sono le premesse dopo la vicenda che ha coinvolto Cecilia Sala e mobilitato così tanto l’opinione pubblica, e dopo le manifestazioni che avevano mosso l’opinione pubblica nei confronti delle donne iraniane, oggi serve un pensiero e un progetto che immagini davvero una trasformazione possibile per tutto il Medio Oriente. Un progetto politico democratico e nonviolento che coinvolga le opinioni pubbliche europee e che finalmente potrebbe dare un senso alla partecipazione politica in particolare per le nuove generazioni. Questo progetto non può che partire da un Iran libero e democratico, laico e pluralista, che da tempo le forze della resistenza iraniana promuovono e che ci sono forti ragioni di immaginare che possa trovare il sostegno di buona parte della popolazione.
Se quindi da un lato è forse oggi più chiaro a tutti quanto sia pericoloso l’Iran attuale, dall’altro il taglio delle risorse e degli interessi economici che oggi si muovono verso l’Iran potrebbe essere il colpo finale per un regime la cui debolezza emerge con forza dalla vicenda siriana, inimmaginabile solo pochi anni fa. La fine di un regime che può sequestrare senza problemi chiunque e che uccide e violenta la sua popolazione è anche la condizione per immaginare qualcosa di diverso per tutto il Medio Oriente esattamente come accadde dopo il crollo del muro di Berlino e per tuti i Paesi satelliti dell’ex Unione Sovietica.
Un Iran libero, laico e pluralista invece che armare le formazioni terroristiche per creare caos e ingovernabilità potrebbe essere un Paese guida per sviluppare delle democrazie islamiche e per immaginare una federazione dei Paesi mediorientali legata all’Europa, che con forme di autonomia e federalismo permetta davvero la convivenza delle diverse etnie, confessioni, tradizioni forzosamente assimilate in Stati pseudo nazionali dalle potenze coloniali europee prima e mantenute in modo innaturale nella fase post coloniale sulla base delle sfere di influenza sotto il tallone di regimi repressivi.

 

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