24 Dicembre 2025 :
23/12/2025 - Repubblica Democratica del Congo. Difendere Joseph Kabila
Un amico di Caino, Dominique Gaillard, nato in Congo e naturalizzato italiano, ci manda un “memorandum” sulla difficile condizione dei diritti umani in Congo, ed una appassionata difesa di un leader politico condannato a morte, Joseph Kabila.
Per gli amanti delle buone letture, Congo è “Cuore di tenebra” e Kurtz, (che poi gli americani riambienteranno in Cambogia con “Apocalypse now”, dove Kurtz viene fatto diventare un colonnello). Per gli amanti del pugilato, Congo (che per un periodo della sua esistenza si è chiamato Zaire) è Kinshasa, dove nel 1974 si tenne il più famoso incontro della storia del pugilato, il "Rumble in the Jungle" in cui si sfidarono i due campioni neri dei pesi massimi, Cassius Clay/Muhammad Ali e George Foreman. Per chi conosce la storia del colonialismo europeo in Africa, il Congo ha avuto la sfortuna di aver dovuto sopportare il gioco del Belgio, il più ottuso di cui si abbia memoria, dove il re (Leopoldo) considerava la colonia un suo possedimento personale, e ne intascava tutti i proventi, senza lasciare in cambio niente, né scuole, né ospedali, né istituzioni che sapessero andare oltre la semplice e brutale “rapina”.
Per Nessuno tocchi Caino in Congo sta accadendo quello che stiamo raccontando della Tanzania con Tundu Lissu: anche in Congo, come in Tanzania, il leader dell’opposizione, viene accusato di alto tradimento, e minacciato con una condanna a morte.
Accusare di “tradimento” chi non concorda con il governo è un forte segnale di involuzione in nazioni come Tanzania e Congo che, in passato, avevano raggiunto buoni standard di democrazia.
In questo articolo il giovane, ma non ingenuo, Gaillard sostiene che l’Occidente dovrebbe prestare più attenzione alle vicissitudini di Joseph Kabila, un uomo che per quasi 20 anni è stato l’apprezzato presidente del Congo, e oggi invece vive nascosto in esilio perché sul suo capo pende una condanna a morte emessa, in contumacia contumacia condannato a morte in contumacia il 30 settembre 2025 da un tribunale militare.
Data la complessità della situazione, ho aggiunto delle note. (Valerio Fioravanti)
La Repubblica Democratica del Congo* vive oggi una crisi istituzionale, politica e securitaria senza precedenti, che mette in discussione non solo la legittimità del potere, ma l’esistenza stessa dello Stato come garante della sovranità, della sicurezza e delle libertà fondamentali. Le elezioni del 2023, segnate da caos generalizzato, violazioni costituzionali, gravi disfunzioni tecniche e accuse documentate di brogli, hanno definitivamente incrinato la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Il processo elettorale, anziché consolidare la democrazia, ha accelerato la delegittimazione dello Stato e aggravato una frattura già profonda tra la classe politica e il popolo congolese.
A partire dal dicembre 2020**, il Paese è entrato in una fase di deriva autoritaria: persecuzioni politiche, repressione della società civile, chiusura degli spazi di libertà, uso strumentale della giustizia e militarizzazione del dissenso. La repressione sanguinosa di manifestanti pacifici sta rappresentando uno spartiacque drammatico e simbolico di questa involuzione. Parallelamente, l’incapacità dello Stato di garantire la sicurezza ha favorito l’ascesa dell’AFC-M23*** e la perdita di città strategiche come Goma e Bukavu, segnando un collasso dell’autorità statale e una sconfitta storica sul piano territoriale e simbolico.
In questo contesto di caos, repressione e smarrimento istituzionale, la figura di Joseph Kabila*** emerge non come nostalgia del passato, ma come riferimento storico, politico e morale per comprendere cosa significhi governare uno Stato fragile senza distruggerne le fondamenta. Difendere e proteggere Joseph Kabila significa difendere un patrimonio nazionale che affonda le radici nella storia della liberazione, dell’indipendenza e della ricostruzione del Congo.
Figlio di Laurent-Désiré Kabila, l’uomo che pose fine a 32 anni di dittatura di Mobutu e che non perdonò mai il tradimento culminato nell’assassinio di Patrice Lumumba, Joseph Kabila è cresciuto tra l'esilio e la resistenza.
A completare il ritratto umano e politico di Joseph Kabila, resta emblematica una sua frase pronunciata davanti ai notabili del Katanga, che riassume il suo stile, il suo rapporto con il potere e la sua visione della leadership, "Dans la vie, assez souvent, il faut parler seulement quand on a des mots qui sont plus forts que le silence." Che, tradotto, significa “Nella vita, molto spesso, bisogna parlare solo quando si hanno parole più forti del silenzio."
Questa frase sintetizza la natura di un uomo forgiato dalla resistenza, dal sacrificio e dal senso dello Stato, lontano dalla politica dello spettacolo e dalla retorica dell’odio, e profondamente legato ai valori della responsabilità e della dignità istituzionale.
Quando nel 2001, a soli 29 anni, si ritrova improvvisamente alla guida del Paese, eredita un Congo frammentato, occupato da gruppi armati, senza esercito nazionale, senza unità e senza Stato. È proprio in questo periodo cruciale, tra il 2001 e il 2006, che Joseph Kabila dimostra una saggezza politica rara: sceglie la via del dialogo, degli accordi inclusivi e della riconciliazione nazionale, anziché quella della vendetta o della repressione. Gestisce con equilibrio le numerose ribellioni, riavvia il processo di riunificazione territoriale e accompagna il Paese verso la Costituzione del 2006, che segna la nascita della Terza Repubblica.
Questo percorso culmina nelle prime elezioni realmente nazionali e pluraliste della storia della Repubblica Democratica del Congo, un evento storico che restituisce dignità istituzionale al Paese e lo reinserisce nella comunità internazionale. Sotto la sua presidenza, lo Stato viene progressivamente ricostruito, le Forze Armate riorganizzate e il Congo sceglie una politica estera di equilibrio privilegiando una cooperazione multilaterale senza rinunciare alla propria sovranità.
Il Congo lasciato da Joseph Kabila nel 2018 non era un paradiso, ma era uno Stato funzionante, con istituzioni riconoscibili, un esercito strutturato e un territorio in larga parte sotto controllo governativo. Soprattutto, era un Paese in cui la Costituzione veniva rispettata, come dimostra il passaggio pacifico del potere dopo due mandati presidenziali, un gesto raro nel contesto africano.
Oggi in Congo, il nome di Joseph Kabila è impronunciabile. Chiunque gli sia vicino ora, o lo sia stato in passato, vive nel timore. Il fatto che un ex Presidente rispettoso della Costituzione sia costretto all’esilio, è il segno più evidente della regressione democratica in atto. Un Paese che perseguita la propria memoria politica e criminalizza il pluralismo è un Paese che ha perso i propri riferimenti.
Proteggere Joseph Kabila significa dunque proteggere valori oggi calpestati: il rispetto delle istituzioni, la cultura del dialogo, la centralità dello Stato, l’integrità territoriale e la sovranità nazionale. In un Congo dove si ricorre a mercenari stranieri mentre l’esercito nazionale viene umiliato, dove la giustizia è strumento di repressione e il pensiero unico soffoca ogni dissenso, la figura di Joseph Kabila resta quella di un leader silenzioso, forse imperfetto, ma guidato da ideali forti e da un senso profondo dello Stato.
La crisi attuale della Repubblica Democratica del Congo non è solo una crisi di potere: è una crisi di memoria, di valori e di visione. Ed è per questo che Joseph Kabila, per ciò che rappresenta storicamente e simbolicamente, continua a essere un patrimonio fondamentale da difendere per chi crede ancora in un Congo sovrano, unito e realmente democratico.
Joseph Kabila Kabange, figlio di Laurent Désiré Kabila e Sifa Mahanya*** é "l'homme qu'il faut à la place qu'il faut" per la Repubblica democratica del Congo.
Dominique Gaillard










