06 Giugno 2022 :
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 3 giugno 2022
La settimana scorsa, l’Assemblea Nazionale della Repubblica Centrafricana ha abolito, per acclamazione, la pena di morte. Lo ha annunciato Simplice Mathieu Sarandji, Presidente dell’Assemblea.
Ci sono voluti dieci anni per arrivare a questo successo. Era l’ottobre 2012 quando, in missione per conto di Nessuno tocchi Caino, con Sergio D’Elia e Marco Perduca sono andata a Bangui, la capitale, per sostenere la causa abolizionista. Ci accolse la notizia che il Consiglio dei Ministri aveva approvato, pochi giorni prima e proprio in vista del nostro arrivo, un disegno di legge per cancellare la pena capitale dal codice penale. Il testo, da lì a poco, sarebbe stato trasmesso all’Assemblea Nazionale. Intendevano così, ci disse con fierezza l’allora Ministro della Giustizia Jacques M’Bosso, esprimere la volontà di iscriversi a pieno titolo tra i protagonisti del processo abolizionista in corso nel mondo.
Secondo una teoria di fatti d’impronta radicale, la RCA aveva istituito un Comitato di riflessione per l’abolizione della pena di morte – comprendeva magistrati, avvocati, direttori generali di ministeri ed esponenti delle tre principali confessioni religiose – dopo aver partecipato alla grande conferenza sulla pena di morte in Africa che Nessuno tocchi Caino organizzò, con il Presidente del Ruanda Paul Kagame e il sostegno dell’Unione Europea, l’anno prima a Kigali. Questo Comitato sostenne la nostra richiesta di voto a favore della Risoluzione delle Nazioni Unite sulla Moratoria Universale della pena di morte che il Governo espresse, per la prima volta, al Palazzo di Vetro nel 2012.
Di lì a poco, una guerra civile avrebbe dilaniato il Paese, nel cuore più povero dell’Africa. Un cuore al centro esatto, geografico e simbolico, di un continente ricco di natura ma immiserito dallo sfruttamento coloniale e poi dallo sterminio per fame e per guerra. Come un virus letale il conflitto interno ha causato morte per tortura, stupri e altre inaudite violenze. Un male che, protratto nel tempo, avrebbe potuto cancellare ogni speranza per l’abolizione della pena di morte e legittimare reazioni punitive durissime. Invece, la storia ha preso un corso diverso, l’abolizione è stata acclamata dal Parlamento e ora la legge attende solo la promulgazione da parte del Presidente Faustin Archange Touadéra. Da questo Paese, secondo al mondo per povertà in base alle classifiche delle Nazioni Unite, emerge un senso di vitalità e di prosperità a cui dovremmo guardare con fiducia. È la prosperità e la vitalità che manifesta chi vuole essere parte della ricchezza costituita dai processi globali improntati allo sviluppo dei diritti umani universali e vuole definitivamente liberarsi dal retaggio di un passato di dolore.
È un bisogno che attraversa l’intero continente. Tant’è che l’abolizione nella Repubblica Centrafricana è giunta dopo pochi giorni da un’altra importante notizia. Il 24 maggio, il Presidente dello Zambia Hakainde Hichilema ha annunciato di voler abolire la pena di morte. È particolarmente significativo che lo abbia detto in occasione dell’Africa Freedom Day. “Questa giornata” – ha dichiarato Hichilema – è un simbolo del nostro impegno collettivo per garantire un futuro migliore per tutti.” Per l’occasione il Presidente ha graziato 2.045 prigionieri, di cui 2.012 detenuti ordinari e 33 detenuti anziani e ha commutato le sentenze di altri 607. Secondo Ambrose Lifuna, Ministro ad interim degli Affari Interni, il governo ha già iniziato a metter mano al sovraffollamento degli istituti penitenziari. Vale così, anche per lo Zambia del Presidente Hichilema, la teoria di fatti per la quale il suo annuncio abolizionista si aggiunge al costante rifiuto di firmare i decreti di esecuzione e alla consuetudine di commutazioni di massa dei suoi predecessori negli ultimi vent’anni. Il primo in ordine di tempo a inaugurare questo ciclo virtuoso è stato il Presidente Levy Mwanawasa a cui Nessuno tocchi Caino conferì nel 2004 il Premio l’Abolizionista dell’Anno. “Le persone non possono essere mandate al macello come fossero polli e finché sarò Presidente non firmerò alcun ordine di esecuzione. Non voglio essere il capo dei boia!”, aveva detto il Presidente. Seguirono le sue orme i Presidenti Rupiah Banda, Michael Sata ed Edgar Lungu.
Guardando l’Africa, il senso d’ansia, depressione e povertà – non solo materiale – insito nella malattia insidiosa della giustizia retributiva, di cui sembriamo tutti affetti, lascia spazio alla calma, all’energia e alla ricchezza propria di chi sa interrompere il circolo vizioso per cui il male va combattuto con altro male. Insomma, un invito a riabilitare la grazia.