23 Agosto 2025 :
Valerio Fioravanti su l’Unità del 23 agosto 2025
L’Iran ha 90 milioni di abitanti, e il 3 agosto ha compiuto l’esecuzione n° 804. Nel mese di luglio, ha calcolato Iran Human Rights e la cifra coincide perfettamente con i dati di Nessuno tocchi Caino, sono state messe a morte 110 persone. L’anno scorso nel mese di luglio le esecuzioni erano state “solo” 48. Secondo le Ong dei dissidenti iraniani, è evidente che la cosiddetta “guerra dei 12 giorni” con Israele ha messo paura al regime degli Ayatollah, e il regime a sua volta vuole mettere paura (di più, se ce ne fosse bisogno) alla popolazione, che non si faccia venire in mente di rivoltarsi. Questa è una teoria molto diffusa tra tutti gli analisti, ma stride con un altro dato. Il rapporto di Iran Human Rights appena citato dice che “delle 110 esecuzioni, solo 8 sono state pubblicate sui media interni all’Iran, il 7%”. Questo sta a sottolineare una forte opacità del regime, certo, ma se le esecuzioni non vengono riportate dai giornali o dalla televisione, com e si fa a dire con certezza che sono compiute per tenere la popolazione in uno stato di paura? Confidando sul semplice “sentito dire” o sul “passaparola”? Può essere.
Eccezionale il lavoro di più di una Ong di dissidenti, che scrivono, trovano notizie, riportano arresti, hanno fonti nelle carceri da cui riescono a far uscire le informazioni su quel 93% di esecuzioni di cui il Governo non vuole dare notizia. Svolgono davvero un lavoro enorme, e sicuramente anche pericoloso. Non sono d’accordo con loro su un punto: quando, nel fare la “distinta” dei vari impiccati, li dividono in “prigionieri politici” e no. A luglio, ad esempio, 2 dei giustiziati erano detenuti politici, 5 erano accusati di stupro, 59 di reati legati alla droga, e 44 di omicidio.
Quando ho approfondito il caso di un giovane uomo di 20 anni impiccato per stupro, si è aperto un mondo: il ragazzo era fuggito di casa con la sua fidanzata, erano riusciti a convivere per qualche settimana, e quando i familiari di lei li hanno rintracciati, lui è stato accusato di stupro, e condannato, e anche rapidamente impiccato. Questo non è stupro, è quello che noi oggi chiameremmo “tentativo di sottrarsi alle ataviche leggi del patriarcato”, per cui è il padre della ragazza che decide di chi lei può innamorarsi, non la ragazza medesima.
Ma a crearmi problemi di catalogazione sono anche i condannati a morte “per reati legati alla droga”. Sono molte centinaia ogni anno. A meno di non voler essere razzisti, e pensare che chi nasce in Iran ha un quoziente intellettivo molto basso, chi mai spaccerebbe droga sapendo che si viene condannati a morte?
La risposta che mi viene in mente è una sola: chi è molto povero, e non sa proprio come portare il pane a casa. Scrivo “pane” perché le Ong di esuli iraniani scrivono in inglese, e usano il termine “breadwinner”, che letteralmente sarebbe “colui che porta a casa il pane” quando vogliono dire che una persona è l’unica fonte di reddito per l’intera famiglia, che spesso va dagli anziani genitori non coperti da un praticamente inesistente sistema pensionistico (soprattutto nelle aree rurali), agli adulti, fino ai figli. Vedi le foto che le Ong diffondono degli “spacciatori” condannati, e ogni tanto ne trovi uno che si fa riprendere con un cappellino di Gucci o una maglietta di Armani (cappellini e magliette, non Rolex e Porsche), ma tutti gli altri sono basici, poveri, non hanno neanche un taglio di capelli alla moda. Davvero li possiamo assimilare ai nostri ricchi spacciatori occidentali? Quando uno è costretto a commettere crimini perché il proprio paese (che pure aggira agilmente le sanzioni e vende petrolio in mezzo mondo) investe tutto solo in armamenti, apparati repressivi, e guerriglie da esportare, è un criminale, o, come vorrebbe dire Nessuno tocchi Caino, un “prigioniero politico” seppure sui generis?
Anche gli assassini creano a noi qualche problema di catalogazione. La legge islamica prevede che il condannato possa chiedere il perdono dei parenti della vittima versando un risarcimento che viene parametrato ogni anno aggiornandolo con l’inflazione. In questo periodo è l’equivalente di circa 18.000 euro per una vittima uomo “musulmano”, e 9.000 euro per una vittima donna “musulmana”. Per i non musulmani non è previsto un “valore”. Le Ong stimano che ogni anno, su 5 condannati per omicidio 4 riescano a pagare il “prezzo del sangue”, e a essere rilasciati. Quanto è povera, e ignorante, e priva di relazioni, la restante parte degli assassini che non riesce a raccogliere, facendosi aiutare dai familiari, o anche dal clan, come succede spesso, 18.000 euro? Forse considerare anche loro “prigionieri politici” è troppo. Ma non è neanche del tutto sbagliato.