27 Febbraio 2021 :
di Rosario Giugliano
Vi racconto la mia storia. L’inizio è triste, per colpa mia. Il seguito è lieto, per merito mio. Il finale è di nuovo triste, ma non per colpa mia. Sono nato a Poggiomarino, Napoli, nel 1961, in una modesta famiglia di lavoratori che, nonostante le difficoltà economiche dell’epoca, non hanno mai fatto mancare nulla né a me né ai miei fratelli, tre maschi e due femmine.
Fin da piccolissimo il più “vivace” dei figli ero io e col passare degli anni questa mia vivacità mi ha creato non pochi problemi. Sono stato arrestato la prima volta a 14 anni. Il carcere minorile invece che attenuare la mia vivacità l’ha accentuata. Nei due anni successivi ho commesso parecchi altri reati, sicché, nel 1977, all’età di 16 anni, sono stato arrestato di nuovo. Alla fine ho cumulato una condanna a 20 anni. Ho passato i primi due anni nelle carceri minorili e avevo una vera e propria allergia alle regole.
Raggiunta la maggiore età, sono stato trasferito a Poggioreale, quando regnava Cutolo. Allora si viveva in un clima di ostilità, c’erano le rivolte e le contrapposizioni anche fra detenuti. Ho ripreso a girovagare per le carceri e nell’84 arrivai all’isola di Pianosa, dove ci restai per cinque anni, finché un Magistrato di Sorveglianza, Margara, persona perbene, ha compreso la vita disastrata che avevo vissuto e mi ha dato un’opportunità che non valorizzai. Al primo permesso, non rientrai più in carcere. Dopo aver causato molte vittime, la latitanza finì una mattina di aprile del 1991. Iniziai subito una riflessione su quello che era stato il mio vissuto o il non vissuto. Ero consapevole che i miei giorni li avrei finiti in un carcere. Questo non mi spaventava, sapevo di cosa ero responsabile e mi assunsi le mie responsabilità. Mi fu tolto l’ergastolo e mi venne comminata una condanna a trenta anni. Ma ho continuato a girare le carceri di mezza Italia, sono stato anche al 41 bis dove ci sono rimasto per 13 anni. Proprio nelle catacombe del 41 bis, nonostante le angherie di quel regime, la mia riflessione e la voglia di cambiare si rafforzarono sempre di più. Una “luce” si era accesa nel mio animo. Essendo di estrazione cattolica mi piace pensare che dall’alto “qualcuno” abbia voluto prendermi per mano e accompagnarmi in una nuova vita.
Nel 2008 sono stato declassificato e trasferito a Opera dove c’era uno spirito e un approccio diverso, c’era modo di farsi conoscere come persona. Ho partecipato a diversi progetti trattamentali, tra cui quello di giustizia riparativa, progetto che umanamente mi ha dato tantissimo. Iniziai a usufruire di benefici, prima i permessi, poi la semilibertà che per me significò riprendere a vivere. Con la mia compagna iniziammo a comporre quei tasselli di “normalità” che ci portarono prima a intraprendere una nostra piccola attività e poi, nel 2015, a coronare il sogno della nostra esistenza, la nascita di Alberto, creatura che ha travolto, in senso positivo e gioioso, la nostra vita.
Purtroppo, nel dicembre del 2015, per una infrazione al piano trattamentale, tutto fu messo di nuovo in discussione, mi fu revocata la semilibertà, e iniziai a vedere la mia compagna e il mio piccolino una volta al mese. Mi sono dovuto ricalare di nuovo nella quotidianità del carcere che sono riuscito a sopportare grazie a Nessuno tocchi Caino che si è inventato i “laboratori del cambiamento” e quel capolavoro di Ambrogio Crespi che è stato il docufilm “Spes contra Spem”. Ora, da un anno sono un uomo libero con il solo vincolo della sorveglianza speciale.
In conclusione, perché ho fatto questo scritto? Semplicemente per dire che in questo Paese, se sei stato un colpevole, e io lo sono stato, se sei stato giustamente condannato, se hai scontato la pena fino all’ultimo giorno, questo non basta. Nonostante la Costituzione, per la giustizia italiana io rimarrò, finché sarò in vita, un colpevole. Lo dico perché alcuni giorni fa, il 17 febbraio, dopo una vita di sacrifici e alcuni mesi di grande sofferenza, è venuta a mancare mia madre, una donna di altri tempi e cultura, che ha sacrificato la sua vita dedicandola a mio Padre e a noi figli, tra cui Carmine, affetto sin dalla nascita da una gravissima malattia per cui non ha mai parlato, camminato, capito praticamente nulla. Fortunatamente, tranne me, gli altri figli non le hanno mai dato dispiaceri, tutti hanno intrapreso una vita regolare affermandosi nei loro mestieri, mai nessuno di loro ha trasgredito le regole del vivere civile, mai un appunto, men che meno una denuncia o una multa. La pecora nera della famiglia sono stato solo io.
Morta mamma, essendo io sottoposto ad una misura di sicurezza, ho fatto istanza al Tribunale di Napoli per poter stare qualche ora a casa, assieme ai miei fratelli, da mamma e poi partecipare in chiesa ai suoi funerali. Il Tribunale mi ha concesso il permesso di partecipare all’intera funzione, ma poche ore prima che iniziasse il rito, funzionari della Questura hanno comunicato ai miei familiari un provvedimento del Questore di Napoli, Alessandro Giuliano, che sospendeva il funerale: “essendo la mamma del pluripregiudicato Giugliano Rosario, per motivi di ordine pubblico non si poteva fare il rito funebre”. Ho subito comunicato alle autorità che avrei rinunciato a partecipare ai funerali purché mia mamma, una donna molto cattolica, potesse passare per la chiesa. Non c’è stato nulla da fare, il questore aveva deciso e nulla avrebbe fatto cambiare la decisione. Fosse stato il mio funerale, avrei capito e per quando mi riguarda, quando arriverà il mio momento, possono anche farmi un fosso da qualche parte e finirla li. Ma mia mamma, poverina! Pur non avendo mai infranto nessuna legge di questo Paese e mai resasi responsabile di alcun reato, tranne la colpa di avermi messo al mondo, è stata trattata come una delinquente. La morale è che in questo Paese chi sbaglia, indipendentemente dal percorso che poi ha intrapreso, rimane sempre colpevole. Comunque, a parte l’amarezza, il mio percorso me lo tengo stretto, perché ritengo oggi di essere una persona migliore. Non so se lo Stato, questo Stato senza grazia e senza pietà, può dire lo stesso di sé.