VI PREGO, CURATE DANILO COPPOLA, È MIO PADRE E STA MORENDO IN PRIGIONE!

Danilo Coppola

01 Marzo 2025 :

Paolo Coppola

Buongiorno, mi chiamo Paolo, ho 17 anni e sono il figlio di Danilo Coppola. Vi scrivo con il cuore in mano, perché mio padre sta morendo in carcere. Quello che sta accadendo oggi non è un caso isolato, ma l’ennesimo episodio di una persecuzione giudiziaria che dura da vent’anni. Mio padre è stato uno dei protagonisti del mercato immobiliare e finanziario italiano nei primi anni 2000, con investimenti e operazioni che hanno coinvolto istituti come Mediobanca e BNL. Poi, nel 2005, è iniziato il suo calvario giudiziario: prima il tentativo, del tutto infondato, di accostarlo alla Banda della Magliana, basato su dossier costruiti ad arte. Questo ha creato attorno a lui un vuoto istituzionale, infliggendogli un danno irreparabile sul piano umano e professionale.
La smentita, arrivata un anno dopo dalla Direzione Distrettuale Antimafia, non ha mai ricevuto la stessa eco mediatica delle accuse. La macchina del fango aveva già fatto il suo lavoro, e da quel momento è iniziata la persecuzione.
Nel 2007 mio padre è stato arrestato per la prima volta.
È rimasto in custodia cautelare per due anni e, in quel periodo, gli è stato persino negato di vedermi nascere.
Due anni della sua vita strappati via senza motivo, con conseguenze devastanti sotto ogni punto di vista: umano, professionale, psicologico. E anche in quel caso, alla fine, è stato assolto con formula piena. Purtroppo, non è finita lì. Da allora, papà ha subito una trentina di processi. Ogni volta che veniva assolto, arrivava una nuova accusa. Per vent’anni è stato sottoposto a una pressione giudiziaria costante, fino a quando, dopo decine di tentativi, si è arrivati a un’unica condanna. Una condanna che oggi lo sta uccidendo.
Al di là delle vicende giudiziarie – sulle quali chiunque si informi può capire la verità – qui la questione è un’altra: papà sta morendo.
Oggi sta scontando la sua pena nel carcere di Viterbo, ma negli ultimi mesi la sua salute è crollata. Una perizia medica ufficiale, redatta da esperti nominati dal Tribunale di Sorveglianza di Roma, ha certificato che mio padre è incompatibile con il regime carcerario e carcerario-ospedaliero.
Già a dicembre 2024, i medici legali avevano riscontrato condizioni di salute estremamente gravi, sottolineando che in carcere il suo stato non poteva che peggiorare e indicando la necessità di un ricovero immediato in una struttura sanitaria, in regime di arresti domiciliari.
Anche il Procuratore Generale, dopo aver letto la perizia, e dopo aver compreso la gravità, ha espresso parere favorevole agli arresti domiciliari.
Va inoltre ricordato che già in tre occasioni precedenti, per detenzioni poi concluse con un’assoluzione, mio padre era stato dichiarato incompatibile con il regime carcerario. Tale incompatibilità è dovuta a patologie acclarate più volte, che lo affliggono sin dalla giovane età. Eppure, l’8 febbraio, i giudici hanno deciso di ignorare tutto. Hanno ignorato la perizia, i referti medici, il parere del Procuratore Generale, e hanno scritto nell’ordinanza che, secondo loro, non sussiste alcuna incompatibilità con il carcere. Una decisione arbitraria, crudele, ingiustificata. Com’è possibile? Come è possibile che un tribunale chieda una perizia medica per poi non tenerne conto? Come è possibile che i giudici si siano sostituiti agli esperti, smentendoli completamente? Come si può restare indifferenti davanti alla sofferenza di un uomo che ha già avuto due arresti cardiaci e ha perso 25 chili in pochi mesi?
I periti del tribunale, basandosi su una visita del 17 dicembre 2024, hanno certificato la gravità della situazione e depositato la perizia a fine gennaio. Oggi siamo a fine febbraio e la sua salute è ancora peggiorata. Papà sta morendo. Io chiedo solo che venga curato. Chiedo solo che riceva le cure di cui ha bisogno. Questo è un diritto fondamentale, garantito dalla legge e dalla nostra Costituzione. Il tempo sta scadendo. Questo accanimento gli sta costando la vita.
Mi rivolgo a chiunque possa fare qualcosa: ai media, alle istituzioni, all’opinione pubblica. Vi chiedo di non restare in silenzio. Vi chiedo di non permettere che decisioni arbitrarie, prese in spregio alle evidenze mediche e ai pareri degli esperti, trasformino la giustizia in uno strumento di sofferenza invece che di tutela dei diritti fondamentali.

 

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