24 Luglio 2025 :
21/07/2025 - USA. Tutti i familiari delle vittime sono favorevoli alla pena di morte?
È opinione comune che l'uso della pena di morte sia sempre sostenuto dagli amici e dai familiari che hanno perso i propri cari a causa della violenza. I pubblici ministeri e i funzionari eletti sostengono spesso che solo la pena di morte può portare loro la chiusura e la giustizia che meritano. I familiari sono invitati ad assistere alle esecuzioni nei casi di pena capitale con la teoria che ciò contribuirà a soddisfare il loro bisogno di vendetta e chiusura.
Sebbene questo sentimento possa essere vero per alcuni, altri la pensano diversamente, compresi alcuni che si oppongono alla pena di morte in ogni circostanza.
Gli studi suggeriscono che il ricorso alla pena di morte non sempre porta alle famiglie la chiusura che cercano e può effettivamente interferire con il processo di guarigione. Inoltre, la lunghezza dei casi di pena capitale, la difficoltà emotiva del lutto dopo un atto di violenza e la mancanza di fondi per i servizi alle vittime spesso lasciano i familiari delle vittime senza il sostegno di cui hanno bisogno.
I casi di pena capitale sono sempre lunghi, date le garanzie procedurali del sistema volte a proteggere gli individui da condanne ingiuste, e il processo può rallentare il processo di guarigione dei familiari in lutto. Marilyn Armour, direttrice dell'Institute for Restorative Justice and Restorative Dialogue, lavora con i sopravvissuti agli omicidi da oltre vent'anni. Nel 2012, insieme al collega ricercatore Mark Umbreit, ha pubblicato uno studio che confronta il modo in cui i familiari delle vittime affrontano la perdita in Texas, uno Stato che applica la pena di morte, e in Minnesota, dove la pena capitale non è prevista. La loro ricerca ha intervistato i familiari in diverse fasi dopo la sentenza iniziale, e ha rilevato che i partecipanti del Minnesota mostravano una marcata diminuzione dei sintomi del lutto nel tempo, a differenza di quelli del Texas. Le famiglie del Minnesota sono state in grado di andare avanti più rapidamente, poiché non hanno dovuto rivivere ripetutamente il trauma attraverso il lungo processo di appello, testimoniando della loro perdita e affrontando l'imputato in tribunale.
I professori Amour e Umbreit hanno identificato la “dinamica critica” in gioco nel recupero delle vittime come “il controllo che i sopravvissuti sentivano di avere sul processo per arrivare alla fine”. I familiari delle vittime nel Minnesota hanno riferito di sentirsi più in controllo del loro processo di guarigione, “probabilmente perché il processo di appello ha avuto esito positivo, è stato prevedibile e si è concluso entro due anni dalla condanna”. Al contrario, lo studio ha osservato che il processo di appello in Texas è stato “lungo, sfuggente, ritardato e imprevedibile”. Ciò ha generato “livelli di ingiustizia, impotenza e, in alcuni casi, disperazione”. Entrambi i gruppi oggetto dello studio hanno provato un profondo dolore e sofferenza, ma i residenti del Minnesota, “non dovendo più confrontarsi con l'assassino, con l'esito del processo o con il sistema giudiziario penale”, avevano la capacità e l'energia necessarie “per la guarigione personale”.
Negli ultimi sviluppi dell'atteso processo per omicidio in Idaho contro Bryan Kohberger, i pubblici ministeri che hanno negoziato un patteggiamento, eliminando la possibilità della pena di morte, hanno spiegato la loro decisione alle famiglie delle vittime. Secondo l'Idaho Statesman, una lettera inviata alle famiglie affermava che il patteggiamento era il risultato più giusto, in quanto avrebbe risparmiato loro “l'incertezza di decenni di appelli post-condanna”. Tra le quattro famiglie colpite, una si è espressa apertamente contro il l patteggiamento. La famiglia di Kaylee Goncalves ha scritto su Facebook: “Siamo oltremodo furiosi con lo Stato dell'Idaho. Ci hanno deluso”.
Sebbene i pubblici ministeri nel caso Kohberger abbiano alla fine accettato di rinunciare alla pena di morte, questo approccio non è coerente in tutti i casi. In altri casi, i pubblici ministeri sostengono che la pena di morte è l'unica sentenza che può dare pace alla famiglia della vittima. Durante il processo in Texas contro Paul Storey, ad esempio, i pubblici ministeri hanno mentito alla giuria affermando che “è ovvio che tutta la famiglia di Jonas Cherry e tutti coloro che lo amavano ritengono che la pena di morte fosse appropriata”. In realtà, i genitori del signor Cherry si sono opposti alla pena di morte e alla fine hanno pubblicato un video a sostegno della richiesta di clemenza del signor Storey, affermando: “L'esecuzione di Paul Storey non riporterà in vita nostro figlio”.
Mentre le famiglie delle vittime hanno opinioni diverse sulla pena di morte, alcune rifiutano l'idea che si possa mai raggiungere una chiusura completa dopo una perdita causata dalla violenza. Come dimostrano gli esempi precedenti, il dolore è molto personale e le famiglie lo elaborano in modi diversi. Uno studio del 2009 di Nancy Berns ha esplorato il concetto di chiusura nel contesto della pena di morte e ha scoperto che per molti familiari delle vittime la chiusura è spesso difficile da raggiungere. Per lo studio, la professoressa Berns ha esaminato studi sulla retorica della pena di morte e sulla sociologia delle emozioni. La professoressa Berns osserva che “molte famiglie delle vittime di omicidio sostengono che non esiste la chiusura e quindi disprezzano questa parola”. Spiega come l'effetto emotivo delle esecuzioni sui familiari delle vittime non sia semplice e lasci alcuni con “una dissonanza emotiva: non sentono la chiusura promessa... fa ancora male” o ne escono “ancora più arrabbiati”.
L'applicazione della pena capitale richiede maggiori risorse, che potrebbero invece essere destinate a sostenere le esigenze delle vittime e delle loro famiglie. Il Procuratore Generale dell'Ohio ha stimato nel 2023 che “il costo aggiuntivo dell'imposizione della pena di morte ai 128 detenuti attualmente nel braccio della morte potrebbe variare tra 128 e 384 milioni di dollari”. Al contrario, nel 2022, il Parlamento dell'Ohio ha stanziato 9 milioni di dollari nel 2024 e 7 milioni di dollari nel 2025 per il Programma di risarcimento delle vittime di reati dell'Ohio.
“Immaginate tutto il tempo, l'energia e le risorse che spendiamo per il sistema della pena di morte e che invece potrebbero essere destinate a programmi che aiutano ad affrontare il trauma della povertà e dell'abbandono, per migliorare davvero la vita delle persone. Oppure immaginate di mostrare alle persone che subiscono e sopravvivono alla violenza, in modo sproporzionato le persone di colore, che le nostre vite contano e che meritiamo di essere curate”, ha detto Sharlette Evans, il cui figlio di 3 anni è stato ucciso in una sparatoria da un'auto in corsa nel 1995.
“Un tempo credevo che la pena di morte avrebbe portato benefici a persone come mia madre e me, ma in realtà nulla potrebbe essere più lontano dalla verità... Dovremmo prendere i soldi che sprechiamo per la pena di morte e investirli per equipaggiare meglio la polizia o per altri programmi che riducono effettivamente la criminalità... È importante che ci siano fondi per fornire servizi che aiutino le famiglie in lutto e traumatizzate come la nostra”, è invece l’opinione espressa da Neely Goen, il cui padre Conroy O'Brien, agente della polizia di Stato del Kansas, è stato ucciso in servizio nel 1978.
Infine, "Murder Victims for Human Rights” (Gruppo di difesa delle vittime, ndt) ha evidenziato che “l'assunto che tutte le famiglie delle vittime favoriscano la pena di morte è così radicata che le famiglie che si oppongono alla pena di morte a volte subiscono discriminazioni all'interno del sistema di giustizia penale da parte di pubblici ministeri, giudici o difensori delle vittime nominati dal tribunale".