USA - Esitazioni e contraddizioni di Biden sulla pena di morte

USA - Joe Biden

17 Giugno 2021 :

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Esitazioni e contraddizioni di Biden sulla pena di morte.
Quando Joe Biden ha prestato giuramento di essere il 46º presidente degli Stati Uniti, gli oppositori della pena di morte hanno festeggiato. Sembrava che gli Stati Uniti avessero il loro primo presidente abolizionista. Durante la campagna elettorale Biden aveva promesso che avrebbe fermato le esecuzioni federali, proposto una legislazione per abolire la pena di morte a livello federale, e incentivato economicamente quelli stati che avessero seguito l’esempio. Aveva riconosciuto che il sistema di pena di morte dell'America è pieno di errori e di ingiustizie. "Poiché non possiamo assicurarci che questi casi siano corretti ogni volta", aveva twittato il candidato Biden, "dobbiamo eliminare la pena di morte."
Gli oppositori della pena di morte, rincuorati da tali promesse, hanno chiesto al nuovo presidente di intraprendere un'azione coraggiosa e drammatica nel Giorno Uno della sua amministrazione. Un mese prima che Biden entrasse in carica, 45 membri del Congresso, guidati dalla deputata Ayanna Pressley del Massachusetts, avevano scritto al presidente eletto, chiedendogli di agire "per dimostrare chiaramente il tuo impegno per eliminare la pena di morte." Biden è entrato in carica il 20 gennaio, e le promesse elettorali non sono state trasformate in azioni concrete.
Durante i suoi primi 100 giorni, ha firmato decine di ordini esecutivi con cui ha oggettivamente invertito molte delle politiche dell'amministrazione Trump. Ma, nei primi cinque mesi del suo mandato, l'amministrazione Biden è rimasta in silenzio sulla pena di morte.
Con il passare dei mesi, il silenzio e l'inazione di Biden hanno iniziato a suscitare preoccupazioni nella comunità abolizionista. Gli attivisti e le organizzazioni contro la pena di morte temevano che porre fine alla pena capitale non fosse più una prioritàdi Biden, che chiaramente rivolgeva la sua attenzione ad altre parti della sua agenda. Ma il 15 giugno, il silenzio e l'inazione si sono conclusi in una sbalorditiva inversione di posizione. Invece di annunciare la fine dei processi capitali federali, una moratoria sulle esecuzioni federali, misure per smantellare la camera di esecuzione federale a Terre Haute, Indiana, o il sostegno alla legislazione del Congresso per porre fine alla pena di morte, la prima decisione di Biden sulla pena capitale è stata quella di richiederla.
Ha infranto la sua promessa e ha fallito il suo primo test della pena di morte in maniera clamorosa quando la sua amministrazione ha formalmente chiesto alla Corte Suprema degli Stati Uniti di ripristinare la condanna a morte di Dzhokhar Tsarnaev. Nell’istanza il Dipartimento di Giustizia ha sostenuto che contro il giovane Tsarnaev la pena di morte è la risposta appropriata a quello che ha definito "uno dei peggiori atti di terrorismo sul suolo degli Stati Uniti dall’11 settembre”. Tsarnaev è stato condannato a morte nel maggio 2015 per l'attentato del 2013 al traguardo della maratona di Boston che ha ucciso tre persone e ne ha ferite più di 260, e non è affatto un personaggio simpatico. È una delle 46 persone nel braccio della morte federale. La sua condanna a morte è stata annullata il 31 luglio 2020 dalla Corte d’Appello federale del 1° Circuito, che da Boston ha giurisdizione su Maine, Massachusetts, New Hampshire, Puerto Rico e Rhode Island.
La Corte d’Appello federale ha stabilito che il giudice del processo non aveva protetto l'imputato da potenziali pregiudizi durante il processo di selezione della giuria e aveva commesso un errore escludendo le prove attenuanti.
L'amministrazione Trump lo scorso autunno aveva impugnato l’annullamento davanti alla Corte Suprema, chiedendo il ripristino della condanna a morte. E ironia della sorte, la posizione del Dipartimento di Giustizia di Biden nel caso Tsarnaev, che definisce "uno dei più importanti procedimenti giudiziari per terrorismo nella storia della nostra nazione", risulta essere esattamente la stessa della posizione articolata da William Barr, il procuratore generale di Donald Trump.
La profondità dell'ipocrisia dell'amministrazione viene rivelata quando ricordiamo ciò che disse l'addetto stampa del presidente a marzo, quando la Corte suprema ha annunciato che si sarebbe occupata del caso Tsarnaev.
"Il presidente Biden", ha detto all'epoca Jen Psaki, "ha chiarito, come ha fatto durante la campagna elettorale, di nutrire gravi preoccupazioni sul fatto che la pena capitale, come attualmente attuata, sia coerente con i valori che sono fondamentali per il nostro senso di giustizia ed equità”.
Queste preoccupazioni sembrano essere svanite davanti al primo ostacolo.
La memoria presentata martedì alla Corte Suprema non sembra uscita da un'amministrazione anti-pena di morte. Invece, dispiega le classiche immagini e argomenti dei sostenitori della pena di morte: un crimine orribile, un imputato impenitente, un tribunale che si fa in quattro per proteggere i suoi diritti.
Il brief si impegna a provare nei minimi dettagli gli autentici orrori di ciò che ha fatto Tsarnaev. Suonando come un pubblico ministero zelante con un collegio elettorale ardentemente favorevole alla pena di morte, dice che "Le bombe hanno causato ferite devastanti che hanno lasciato la strada con 'un aspetto devastato, da zona di combattimento'... 'Sangue e parti del corpo erano ovunque', disseminato schegge, chiodi, frammenti di metallo e di vetro. L'odore di fumo e carne bruciata riempiva l'aria, e urla di panico e dolore echeggiavano in tutto il sito.'”
Lungi dall'essere turbato dalla devastazione del crimine, Tsaranev, fa notare il brief, è tornato nel dormitorio del college che frequentava e poi si è allenato in palestra con un amico. Ha twittato: "Sono un tipo senza stress".
L’Amministrazione sostiene che il processo sia stato scrupolosamente equo. "La giuria", sostiene, "ha considerato attentamente ciascuno dei crimini del convenuto e ha stabilito che la pena capitale era giustificata per gli orrori che ha inflitto personalmente".
La memoria accusa la corte d'appello che ha annullato la sentenza di Tsarnaev, in un linguaggio che rispecchia esattamente le parole usate nella memoria originale dell'amministrazione Trump, di fare affidamento su ciò che definisce una "regola nuova, inflessibile e non supportata... per invalidare le condanne capitali del convenuto".
E definisce Tsarnaev un "'jihadista radicale […] deciso a uccidere gli americani'". Conclude che l'imputato "meritava la punizione definitiva per i suoi orribili crimini".
Opporsi all'esecuzione di Tsarnaev, senza dubbio, avrebbe imposto un costo politico che l'amministrazione Biden non era disposta a pagare. Potrebbe anche aver trascinato l'amministrazione nel vortice delle guerre culturali che sembrava così preoccupata di evitare.
La memoria depositata martedì riprende anche la posizione assunta dal procuratore generale Merrick Garland in un precedente caso di terrorismo interno, il processo a Timothy McVeigh per l'attentato dinamitardo del 1995 al Murrah Federal Building a Oklahoma City.
Qualunque siano le sue motivazioni politiche e le potenziali spiegazioni, l'amministrazione Biden avrebbe dovuto riconoscere che lo stato che uccide qualsiasi cittadino, anche uno che ha commesso un crimine orribile come quello di Tsarnaev, compromette sempre i "valori che sono fondamentali per il nostro senso di giustizia ed equità", come ha detto Biden.
Come ha osservato una volta l'ex giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter, "Un crimine scioccante mette la legge alla prova più severa". Nella sua prima uscita sulla pena di morte, l'amministrazione Biden ha fallito il test.

Per il caso Tsarnaev vedi anche NtC 01/05/2013, 16/09/2013, 29/01/2014, 05/01/2015, 04/03/2015, 23/03/2015, 08/04/2015, 13/04/2015, 21/04/2015, 15/05/2015, 28/05/2015, 24/06/2015 e 31/07/2020.

https://slate.com/news-and-politics/2021/06/biden-death-penalty-boston-boston-fail.html

 

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