TUTTI CE LE INVIDIANO PERÒ NESSUNO LE VUOLE: BASTA MISURE DI PREVENZIONE!

16 Giugno 2024 :

Tullio Padovani*

In Italia abbiamo una presenza sempre più invadente, sempre più pericolosa, e sempre più silenziosa, nel senso che se ne parla poco, troppo poco o non se ne parla affatto. Magari se ne occupano i giornali che curano di più gli aspetti della giustizia ma che sono letti da pochi. I grandi giornali non dedicano nessuno spazio a un problema che viceversa costituisce un vero e proprio cancro del sistema giuridico italiano. Parlo delle misure di prevenzione, soprattutto delle misure di prevenzione patrimoniali e delle cosiddette interdittive antimafia.
Si tratta di un meccanismo diabolico che ha un carattere eversivo, del quale non percepiamo la portata perché agisce un po’ dietro le quinte. Ogni tanto emerge nelle cronache – hanno portato via il patrimonio di Tizio, di Caio, di Sempronio – però la cosa non fa scandalo. C’è stato un recente processo a Palermo a carico di un magistrato che operava nel settore delle misure di prevenzione e allora della cosa si è parlato. Ma la sostanza del fenomeno non è ancora percepita, sembra che non sia un problema. Eppure, in Sicilia, credo che la stessa economia dell’isola sia condizionata dall’esistenza delle misure di prevenzione.
Non so se tutti hanno la nozione di che cosa siano e cercherò di riassumerlo brevissimamente. Sono uno strumento antico. In Italia non ci facciamo mancare mai niente, siamo buoni inventori di questi strumenti che dietro il paravento della legalità la violano e la tradiscono completamente. Figuratevi che le misure di prevenzione cominciano a esistere con il Piemonte Sabaudo, col Regno di Sardegna, prima che arrivasse l’Italia, per far fronte a una emergenza delle prime guerre d’indipendenza. C’erano gli esuli lombardi, masse di persone, necessità di controllarle. Erano misure legate alla possibile pericolosità di certi soggetti, quindi, alla necessità di particolari forme di sorveglianza di polizia, domicili vincolati in certe località. Di patrimoniale non c’era ancora niente d’importante, ma c’era anche questo e riguardava i cosiddetti furti campestri, che all’epoca erano una piaga nelle campagne. Allora, cosa succedeva? Succedeva che se a un contadino trovavano nella stalla degli attrezzi, dei materiali, delle merci di cui non riusciva a giustificare la provenienza in modo esauriente, glieli sequestravano perché sospetti di essere il frutto di un furto. Sospetto di essere provenienti da un furto, ma c’era il furto o no? Perché se c’era è certo che bisognava portarglieli via, ma se non c’era? C’era, non c’era: quanti problemi… Si sospetta che ci fosse e nel dubbio è meglio portarli via, così siamo sicuri.
Siamo andati avanti così nel corso degli anni sempre con nuove emergenze. Perché dopo l’unità d’Italia abbiamo avuto il banditismo, il cosiddetto banditismo nell’Italia meridionale che era semplicemente una forma di grave disagio per una unità piuttosto problematica. Poi abbiamo avuto lo sviluppo industriale, quindi l’emergere di una classe pericolosa nuova, gli operai che si coalizzavano, i primi scioperi e, quindi, anche in questo caso, misure di prevenzione. Siamo andati avanti così fino alla Costituzione Repubblicana.
La Costituzione non parla di misure di prevenzione, non ne parla. All’Assemblea Costituente il problema non fu affrontato. Però le misure continuavano a essere previste nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza emanato durante il fascismo. Entrata in vigore la Costituzione Repubblicana, la questione passò alla Corte Costituzionale: ma queste misure sono compatibili con la Costituzione Repubblicana? Siccome si trattava di misure solo personali, l’ammonizione, il soggiorno obbligato, nei confronti per lo più di soggetti recidivi che erano già stati condannati e che si poteva sospettare fossero pericolosi, insomma, misure ristrette in una nicchia di soggetti particolarmente qualificati, la Corte Costituzionale con due celebri sentenze le sdoganò chiedendo solo che ci fosse la garanzia del giudice, di un giudice che controlla. Ma controlla cosa il giudice? Se la base per applicarle è il sospetto poi il giudice come fa a verificare il sospetto? Se verificasse il sospetto, cioè scoprisse che hai commesso dei reati ti dovrebbe condannare, se no il sospetto si limita a ratificarlo sulla base di quello che gli dice il rapporto di polizia.
E siamo andati avanti così. Poi, ci siamo accorti che in Sicilia c’era la mafia ed è intervenuta la legislazione antimafia. Con la legge del 65, abbiamo scoperto che in Sicilia c’era la mafia. Per la verità c’era già da almeno 150 anni come minimo, però noi arriviamo sempre in ritardo e introduciamo una legislazione che rafforza un po’ la legislazione precedente. Ma di misure patrimoniali ancora non si parla. Successivamente, passo dopo passo, passettin passettino, si arriva anche alle misure patrimoniali. Percorrere questa serie di passaggi sarebbe anche interessante ma diciamo che si dividono in due fasi. Una prima fase vede coinvolti soltanto i sospetti di appartenere ad associazioni mafiose. Già questo: visto che si era introdotto il reato di associazione mafiosa, se uno lo sospetti, allora, lo dovresti condannare, perché o hai le prove o non le hai. No, non ho le prove per condannarlo, però per sospettarlo sì. E quindi si comincia a entrare in una logica per la quale si dice: una volta che lo sospetto di appartenere ad associazioni mafiose, anche i soldi che ha vengono investiti dallo stesso sospetto. Fin lì rimaniamo in tema di lotta alla mafia sicura sia pure con strumenti che vengono definiti eccezionali, ma sapete com’è: la mafia, la mafia, la mafia, con la mafia si giustifica tutto.
Poi, abbiamo fatto il salto della quaglia e le misure di prevenzione patrimoniale si applicano senza distinzione di appartenenza o non appartenenza alla mafia. Il problema è: questi soldi tu sei in grado di dimostrare da dove li hai presi? Perché se non sei in grado di dimostrarlo te li porto via. Te li porto via se ho qualche sospetto che non siano puliti. Si tratta del patrimonio, spesso può essere frutto dell’eredità… la misura di prevenzione si applica lo stesso, anche dopo la morte del sospettato, nei confronti degli eredi. Tu dimostrami che sono puliti, dimostramelo. Allora tu dici: noi viviamo in Italia, abbiamo evaso, abbiamo fatto i condoni fiscali, effettivamente non ci siamo comportati bene ma è un’evasione fiscale. E il legislatore dice: no, questo non vale, te lo scrivo nella legge. Non mi devi venire a raccontare che hai evaso perché questo non mi serve, l’evasione non esiste, non esiste come fonte di produzione del reddito. Se hai evaso non puoi dire che hai evaso perché io non ti ascolto e non mi interessa e a questo punto considero convalidati i sospetti per cui ti porto via tutto.
In questo modo si sono rovinati interi compendi industriali.
Qui l’alternativa è secca: se i soldi provengono da reato è chiaro che devono essere confiscati, ma bisogna provarlo. Se non si prova, non ci si può basare sul sospetto perché nel sospetto ci sta chi per avventura è effettivamente nella condizione di vedersi portare via tutto e chi invece non lo è affatto. Io personalmente ho conosciuto persone della cui integrità non dubito che sono state letteralmente rovinate da un meccanismo divoratore spietato. E se ti portano via tutto non ti lasciano neanche i soldi per difenderti. Io li difendevo gratis perché non avevano di che pagarmi in quanto gli avevano preso tutto e messi anche nella condizione di non difendersi. Non parliamo poi delle interdittive antimafia: se nell’azienda c’è qualcuno che è sospettato di avere collegamenti di qualunque tipo – un parente, un amico – con un sodalizio mafioso, scatta l’interdittiva antimafia. Allora, non lavori più, sei escluso da tutto, è la fine.
Si è creato un comparto di economia che è gestito come una, io l’ho definita: “manomorta giudiziale”. Un tempo c’era la “manomorta ecclesiastica”, cioè il patrimonio dato agli ecclesiastici che serviva per mantenere ordini religiosi, congregazioni o quel che sia, ma che non era attività produttiva, era un’attività di mero sfruttamento parassitario dell’economia, cioè beni che non producevano ricchezza. E l’abbiamo ricostituita, la manomorta, perché su questi sequestri poi si sviluppa un’economia tossica, parassitaria, con burocrati che gestiscono patrimoni senza averne le competenze, senza averne la capacità, persone magari professionalmente anche serie – non sempre serie, il processo di Palermo ha dimostrato ampiamente che c’erano tante pecorelle nere, ma mettiamo che sono tutte pecorelle bianche, anche così, non basta essere onesti per fare l’imprenditore, bisogna essere imprenditori. Siccome questi non lo sono, quando alla fine si scopre – qualche volta si riesce persino a scoprirlo – che tutto sommato i sospetti erano infondati, ecco che allora si restituiscono le aziende cariche di debiti e pronte per il fallimento. Operazione di distruzione della ricchezza.
In Sicilia ci sono degli esempi illustri, come quello dei fratelli Cavallotti, che ora per fortuna sono finiti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che si accinge a decidere. E io mi auguro che la Corte Europea ci dia una bella scrollata perché noi abbiamo bisogno di una bastonata in testa, se no, non ci svegliamo dal torpore e spesso non basta neanche quella. Però ora il cittadino italiano ha un’arma visto che l’Europa è una sponda di legalità per noi. I sostenitori delle misure di prevenzione dicono che sono la cosa più bella del mondo, che tutti ce le invidiano, che è il modo migliore per affrontare i problemi della criminalità. Insomma, abbiamo la panacea di tutti i mali. Ma sta di fatto che nessuno si azzarda a introdurre simili istituti nel proprio ordinamento e, anzi, la Corte Europea ha cominciato a guardarle per quello che sono: dei mostri giuridici. Le misure di prevenzione sono una materia europea in quanto incidono sull’economia del nostro paese, sono fattori di alterazione della concorrenza, introducono elementi distorsivi, poderosi, ci intossicano.
Le misure di prevenzione sono la violazione più manifesta, più conclamata, più intollerabile, più assurda, più vergognosa del diritto europeo.
Mi auguro che il passaggio che dovrebbe essere alle porte sia quello di cominciare a eliminare questi mostri e ristabilire le condizioni di legalità nel nostro paese.
* Presidente d’Onore di Nessuno tocchi Caino

 

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