10 Maggio 2025 :
Patrizia Ferragina*
Nei Laboratori di Nessuno tocchi Caino che si svolgono ogni mese nel carcere di Opera, i nostri amici scendono dai Reparti inizialmente per reagire alla tentazione di rendersi immobili, “legati agli invisibili fili tenaci che li tengono inchiodati alle brandine delle celle… fino a pensare di essere divenuti di ferro” (Maria Teresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli 1995), poi negli incontri la discussione e il confronto si animano e fanno sì che sia noi di “fuori” che loro di “dentro” semplicemente restiamo umani. Il momento più difficile è quello dei saluti.
Lo scorso 12 aprile Roberto Rampi su queste pagine scriveva della “potenza liberatrice della cultura” e di come “gli strumenti culturali e la loro assenza sono un elemento costante della esperienza carceraria”. Non credo sia banale estendere il ragionamento ai quartieri disagiati delle nostre città, con l’obiettivo e la speranza di risparmiare l’esperienza del carcere alle persone che abitano le periferie e costituiscono inevitabilmente un esercito di riserva per la criminalità organizzata. Eraldo Affinati un anno fa su La Stampa, dopo uno dei tanti episodi incresciosi accaduti al Beccaria di Milano, ammoniva: “Se non ci prendiamo cura dei nostri ragazzi, specie i più fragili e inquieti, è come se avvelenassimo i pozzi della coscienza collettiva mettendo il piombo sulle ali del futuro. Nella mia vita di insegnante di Lettere negli istituti professionali delle borgate romane ho conosciuto tanti adolescenti, alcuni dei quali, si capiva subito, erano sempre sul punto di compiere reati: camminavano sul crinale, tra famiglie improponibili e amicizie pericolose, rischiando di precipitare nell’abisso.”
A me sembra che il non prendersi cura è quello che si sta facendo da decenni, cercando di contrastare il fenomeno della devianza con “leggi speciali” e costruzioni di nuove carceri. Ed è proprio ciò che dice Costanzo Apice a conclusione del suo racconto: “vorrei parlare a cuore aperto con i ragazzini del carcere minorile e cercare di salvarne quanti più possibile. Magari lo avessero fatto per me trent’anni fa!” Le Istituzioni e la società civile avrebbero bisogno di ascoltare con maggiore attenzione chi ha sbagliato, e fare tesoro delle sue parole.
* iscritta a Nessuno tocchi Caino, volontaria nel Carcere di Opera
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Costanzo Apice*
C’è un momento della mia vita che ho percorso con il pensiero tante di quelle volte che mi sembra la scena di un film. Avevo 13 anni, io e mia sorella più piccola siamo davanti a mia madre che piange perché non ha i soldi per comprare da mangiare per noi. In preda alla rabbia non seppi fare altro che andare a rubare. Non avevo un padre, mia madre era iscritta all’ufficio di collocamento ma non ha mai avuto un lavoro, forse, se le cose fossero andate diversamente non sarei qui a raccontare la mia storia…
Sono entrato in carcere a 15 anni e oggi ne ho 44. Solo pochi anni fa ho scoperto l’esistenza di educatori e psicologi, prima non sapevo nemmeno cos’era il percorso rieducativo. Per me il carcere significava punizione, e io ero sempre arrabbiato e ribelle. L’unica cosa che mi faceva stare bene erano i colloqui, giocare a pallone e imparare a cucinare. Oggi quando guardo indietro penso che se allora avessi incontrato una educatrice come la persona che mi segue attualmente sono sicuro che mi sarei risparmiato tanta galera, avrei risparmiato tante sofferenze ai miei parenti, e soprattutto non sarebbe stata mia la mano che ha impugnato l’arma che ha causato dolori e patimenti infiniti ad altre famiglie.
Sono sposato e ho avuto tre figli, ma un anno e mezzo fa abbiamo perso Salvatore, il primogenito. Questo profondo dolore mi ha cambiato, mi ha aperto gli occhi, facendomi pensare a quanta sofferenza ho causato ad altre persone. Il resto lo ha fatto la mia educatrice, affiancandomi volontari e psicologa, e facendomi seguire dei corsi. Qualcuno dirà che ha fatto il suo lavoro, ma io dico che ha fatto di più, perché ha messo amore nel suo lavoro. Dopo tutto questo oggi io sono una persona diversa, e sono felice di esserlo. Quello che hanno fatto per me vorrei farlo io per gli altri, magari parlare a cuore aperto con i ragazzini del carcere minorile e cercare di salvarne quanti più possibile. Magari lo avessero fatto per me trent’anni fa!
* detenuto nel Carcere di Opera