13 Luglio 2024 :
Vincent Delbos* su l’Unità del 13 luglio 2024
“Non va bene”, è il titolo dell’ultimo libro di Delphine Horvilleur, rabbino progressista, scritto dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023. Specchio tragico dei nostri tempi. Dopo avvenimenti insopportabili, ci possono essere vie d’uscita? Possono divenire qualcosa di diverso dalle uscite di emergenza e trasformarsi in veri e propri percorsi di ricostruzione democratica? Il contesto è difficile. Siamo sull’orlo di tre abissi che pongono le nostre società democratiche di fronte a flagelli distruttivi che divorano innanzitutto una delle libertà fondamentali, quella d’espressione, nella misura in cui alcune affermazioni non sono opinioni ma reati.
Il primo abisso immobilizza e riguarda tutto. Si chiama cambiamento climatico. Ondate di caldo, piogge torrenziali, innalzamento degli oceani, danni alla biodiversità aggredita dalle attività umane. Non possiamo dire di non sapere. Il primo pericolo esistenziale è proprio questo. Le coscienze di questo mondo lo ripetono, inascoltate. La legge europea per il clima inizia così: «La minaccia esistenziale che pone il cambiamento climatico esige, da parte dell’Unione e degli Stati membri, un’accresciuta ambizione e l’intensificazione dell’azione per il clima».
Il secondo abisso paralizza. Si chiama guerra. L’aggressione della Russia all’Ucraina e il suo influsso in Georgia, in Armenia, nei Balcani, l’attacco terroristico del 7 ottobre e la risposta, smisurata e sproporzionata. Una sfilza di altri conflitti nascosti, in un’ampia diffusione della violenza, dallo spazio domestico alle ricomposizioni geopolitiche. Ovunque le vittime, uguali, non devono diventare anonime.
Il terzo precipizio raggela e riguarda l’estensione delle vulnerabilità. Le disuguaglianze aumentano, nello spazio urbano, tra la città e il mondo rurale, tra paesi del Nord e del Sud.
La povertà percepibile nello spazio pubblico come nel timore di perdere la propria posizione sociale, comporta minacce esistenziali per il tessuto sociale. Convinti di poter arginare il presunto pericolo, con una soluzione miracolosa: incarcerare. Dolcemente, attraverso una sorta di mitridatizzazione, si aumentano i posti di detenzione senza correlazione con la crescita della criminalità. Con una legge ferrea per cui, per ogni nuovo carcere, la popolazione detenuta supera la capacità.
Questi tre abissi pongono interrogativi seri. Non ci sono arche di Noè in vista, né bunker antiatomici per 7 miliardi di persone, né muri abbastanza alti per bloccare la miseria di coloro che fuggono dal deserto, dalla fame, dalla guerra, dal caldo insopportabile.
La sicurezza prevale sui diritti fondamentali, le libertà di movimento, di espressione, di associarsi, di credere o di non credere. Se abbiamo ancora un briciolo di intelligenza, usiamola subito per stabilire una base solida per il mondo di domani e le generazioni future. Con una parola d’ordine, un precetto cardinale: parlare. Come terapia d’urto contro l’oscurantismo e la brutalità.
L’esperienza ha dato prova che il dialogo crea le condizioni di vita d’insieme. In questi ultimi anni, in centinaia di visite e colloqui nei luoghi di privazione della libertà in Francia, in Europa e in paesi della riva sud del Mediterraneo, se la parola scambiata è assente, l’arbitrio e la violenza occupano lo spazio, e la dignità umana scompare. Ma se si condividono alcune parole, magari su come fare un ricorso o spiegare una decisione anche coercitiva, allora, sorge una punta di umanità e, con essa, la dignità.
È a forza di ascoltare chi aveva a che fare con la giustizia – le persone private della libertà e chi vi gravita intorno – che si è formata la convinzione che il dialogo sia l’unica soluzione.
Il contraddittorio è ricco di prospettive. È l’essenza della diplomazia per uscire dalla guerra, cuore del dibattimento giudiziario, punta di lancia per arginare la crisi ecologica, spirito di appartenenza solidale per vincere la povertà.
Gli incontri estivi sulla reclusione, “Concertina”, sono un esempio di questo approccio. Dal 2021, in Francia, a Dieulefit nella Drôme, città di “Giusti tra i Giusti”, si ritrovano cittadini, professionisti, artisti, persone che hanno conosciuto la reclusione. Per discutere di ciò che Camus definiva come il metro della qualità morale del vivere comune. Insomma, un melting pot animato da una sola intenzione: imparare a capire le differenze degli altri.
Questo festival estivo, crogiolo di creatività, di miscele di generi, forgia un fertilizzante per innovare, nutrirsi o ricaricarsi. Un’incubatrice duratura che ragiona tutto l’anno da un’edizione all’altra. Come quella corista che dice «cantavo male da sola ma insieme agli altri ho la sensazione di cantare bene». Forse è così che ce la caveremo. Pensando e dialogando intorno a temi difficili, i diritti della vita, i diritti inalienabili, per generare un nuovo respiro. Per, alla fine, poter dire «Come va bene!».
* Magistrato onorario