01 Ottobre 2022 :
Due brevi lettere dal carcere di Opera spiegano il senso – in una è scritto: la “religiosa missione etica” – dei Laboratori del Cambiamento “Spes contra Spem” che Nessuno tocchi Caino ha istituito e continua a tenere con cadenza mensile da ormai sei anni nelle sezioni di alta sicurezza. L’ultimo, a Opera, è stato “animato” dalla presenza di detenuti che non li avevano mai frequentati. I toni del confronto all’inizio un po’ troppo accesi erano la spia di un malessere che è sempre più diffuso nelle carceri. Gli autori delle due lettere sono ergastolani ormai veterani dei Laboratori di Nessuno tocchi Caino. Il primo, Giuseppe Grassonelli, invoca il tribunale della verità e della riconciliazione; il secondo, Antonio Aparo, letteralmente, ricama la speranza e la pazienza che il tempo della pena richiede. Sarebbe bene siano ascoltati, non solo dagli altri detenuti, ma anche dai guardiani detenenti e dai magistrati sorveglianti, se si vuole evitare che la sfiducia e la disperazione, che serpeggiano nelle carceri e di cui il numero dei suicidi di quest’anno è solo un terribile indice, superino un punto di non ritorno.I nostri “laboratori del cambiamento” hanno un obiettivo chiaro e definito: rivoltare la banalità del male nella gratuità del bene. Noi stiamo tra il bene e il male, stiamo bene e male, ma la nostra missione è rendere il tutto sensato e gratuito. Tutto ciò che facciamo è senza scambio e interesse, perché se la Giustizia è restituzione, essa non può essere incatenata a uno scambio equivalente. La giustizia dell’occhio per occhio non è vera. È vendetta. È ripetizione. Non fa fare un solo passo in avanti. Ferma l’orologio dell’esistenza. È certificabile. Vera è invece la restituzione del non equivalente.
Mi piace pensare che “letteratura” significa “le cose che si leggeranno”, quelle che potranno essere lette. Prima o poi, comincerà un tempo nuovo per tutti, e con questo bisognerà fare i conti. Ci sarà bisogno allora non di pentimenti giudiziari di scambio, ma di “relazioni di verità”. Sergio D’Elia cita sempre la commissione sudafricana “verità e riconciliazione” e il suo mandato, il suo scopo principale: una ricostruzione dei fatti avvenuti e non la vendetta sui colpevoli.
Per quanto mi riguarda, io sono disponibile a sottopormi al duro giudizio dinanzi a un Tribunale della Verità. Non chiederei di essere perdonato, ma di poter sperare in un “ritorno” alla società perduta. Quindi: No a uno scambio di informazioni; No a uno scambio per avere; Sì a uno scambio di formazione; Sì a uno scambio per essere. Non basterà uscire dall’odio del passato, occorrerà orientarsi a un’altra storia, perché il nemico più brutale, più arrogante e più presuntuoso è stato quello che un tempo ci è stato amico. Lunga vita a Spes contra Spem.
Giuseppe Grassonelli
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Mi sveglio con un disegno confuso in mente e inizio a ricamare all’alba, l’immagine si dipana come il filo tra le dita e una figura prende forma sulla tela. Il ricamo mi ricorda la speranza e accompagna la pazienza che il tempo della pena ci richiede, perché magari non si è avuto tempo di considerare l’istanza oppure perché i documenti sono andati smarriti. Intanto le nostre richieste sbaragliano per ansia gli schemi del punto croce, si fanno più insistenti, sembrano assillanti, ma sono mosse dalla consapevolezza di chi sa che non riceverà risposta.
Il 5 agosto 2022 ricamavo quando il magistrato di sorveglianza m’ha convocato per la prima volta dopo trent’anni e due mesi di reclusione. Le mie istanze di permesso vengono rigettate perché – scrivono – non ho fatto una revisione critica del mio passato e sono «restio» a entrare nel merito dei reati e delle motivazioni che mi hanno indotto a delinquere. Eppure ho scritto una lettera pubblica ai miei concittadini e partecipo alle attività del laboratorio Spes contra spem per ribadire la mia distanza da tutte le mafie e assumermi le mie responsabilità.
Eschilo nelle Eumenidi ci insegna che il colpevole inciampa a sua insaputa perché il delitto lo rende cieco. I miei compagni e io abbiamo sbagliato trent’anni fa perché ci siamo lasciati cadere nella narrazione che la società ci offriva, ma oggi abbiamo imparato a riflettere e dialogare. La società ci ignora, ma l’ordinamento penitenziario non dovrebbe ruotare intorno al detenuto? A ogni passo ci scontriamo con la difficoltà di comunicazione, che è equivoca e contorta, così moltiplica le situazioni di inciampo, mentre la nostra paura e l’ansia crescono dentro e persino le mura ci gridano contro che noi non siamo esseri umani.
In Spes contra spem parliamo della nostra trasformazione e speriamo nella “restituzione alla società”. I miei compagni e io quando parliamo fra noi usiamo un’altra espressione, la chiamiamo “ritorno tra i vivi”.
Antonio Aparo