16 Luglio 2022 :
Pierpaolo Zavettieri* su Il Riformista del 16 luglio 2022
Fin quando non ci sarà una giustizia certa e giusta nessun crimine troverà adeguata ed efficacie risposta da parte dello Stato. Tale convincimento impone di non accettare passivamente che una norma chiara come l’art. 143 del Testo unico degli enti locali sia costantemente “forzata” in termini interpretativi da Prefetture, Viminale, Consiglio dei Ministri, Capo dello Stato e che, in caso di contezioso giuridico, si possa incorrere in valutazioni poco serene da parte della giustizia amministrativa, ai vari livelli.
La norma sugli scioglimenti, ancorché inutile e superata dalle leggi ordinarie, non è altro che una reazione del Governo, immediata e straordinaria, ai gravissimi ed efferati fatti criminali dei primi anni 90. Ma si sa, in Italia nulla è più definitivo di una norma emergenziale!
Non vi è alcun dubbio infatti che la nostra legislazione, anche al netto del “143”, impedisca qualsivoglia possibilità per un amministratore locale di agire impunemente a favore della criminalità, organizzata o comune che sia. Se un sindaco commette un reato è sanzionabile a norma di legge! Ciononostante, volendo considerare attuale il “143”, dovremmo quantomeno avere il coraggio di denunciarne l’utilizzo spasmodico da parte degli organi preposti. Quasi mai, infatti, negli innumerevoli casi di comuni “sciolti”, si è potuto rilevare un “reale” riscontro di elementi “concreti, univoci e rilevanti”, tali da condizionare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione comunale sotto indagine, così come recita il TUEL.
Se la percentuale di errori, a volte clamorosi, commessi da “burocrazia” e “magistratura” non fosse così elevata, probabilmente non sarebbe necessario alcun dibattito sull’argomento e neppure le battaglie di Associazioni come “Mezzogiorno in Movimento” o Nessuno tocchi Caino. Insomma, è la dose che fa il veleno!
Solo per avere un saggio di come spesse volte siano state gestite circostanze afferenti l’utilizzo del “143” è utile citare uno stralcio significativo della sentenza del TAR Lazio che ha disposto l’annullamento dello “scioglimento” e la “riabilitazione” del Comune di Marina di Gioiosa: «Dalla documentazione complessivamente presentata in giudizio, tuttavia, emerge un quadro fattuale caratterizzato dalla presenza di un notevole ritardo da parte della prefettura reggina nel riscontro delle richieste di informazioni antimafia; di contro, il Comune risulta essersi attivato celermente, appena avuto notizia delle interdittive». Peccato che il Consiglio di Stato, sul ricorso avverso la sentenza del TAR, in tempi così celeri da legittimare eventuali dubbi sulla corretta presa visione degli atti, ha prima concesso la sospensiva e poi ribaltato le inconfutabili motivazioni del TAR. Cos’altro vorreste aggiungere!
È di pochi giorni fa invece la sentenza del Consiglio di Stato che, sul caso Guardavalle, contro ogni previsione, ha ribaltato in senso “correttamente garantista” l’esito del TAR sullo scioglimento del Consiglio Comunale. Le parole del Collegio in questo caso non possono non essere destinate a riaffermare la corretta giurisprudenza: - È opinione del Collegio che le circostanze fattuali ... non restituiscano un quadro sufficientemente probante, sia pure nella logica del “più probabile che non”, del condizionamento o del collegamento mafioso, ma di *una gestione non particolarmente efficiente ed efficace dell’attività amministrativa, che non può però giustificare lo scioglimento degli organi elettivi*, il quale incide sui «più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di Governo garantita dalla Costituzione».
Giudicato esemplare e monito per lo stato di diritto, caratterizzato da una sentenza le cui motivazioni fanno presa sulle coscienze perché finalmente esaltano nettamente il valore della volontà popolare (imprescindibile in democrazia) e i più alti valori costituzionali.
La decisione del Consiglio di Stato vince sullo sconforto diffuso degli amministratori locali e restituisce speranza alle comunità offese dall’onta del pregiudizio fondato su una abusata cultura del sospetto che vizia ogni forma di giudizio. L’auspicio è che la sentenza “Guardavalle” non rimanga caso isolato ma divenga sentenza pilota per un reale “cambio di rotta” che restituisca dignità e motivazione a chi ancora intende spendersi per le proprie comunità, specie in territori difficili come il Mezzogiorno.
* Sindaco di Roghudi