28 Agosto 2023 :
Enzo Musolino* su L’Unità del 27 agosto 2023
Tra i presunti “irredimibili”, tra i perduti, i condannati al “fatto” insuperabile, tra i suicidi anche per fame e sete (47 dall’inizio dell’anno), tra le sbarre della morte per pena, nelle spire di uno Stato che riempie le galere di emarginati, immigrati, drogati, malati psichiatrici, insieme al personale dipendente delle prigioni, a quei poliziotti che pure muoiono di “reclusione” e dolore. In mezzo a tutti questi, in aiuto a loro, c’è spazio per un contributo democratico, liberale, di progresso e liberazione? C’è spazio per “qualcosa di diverso dal diritto penale” (Aldo Moro)?
Spes contra Spem, ci dice Paolo di Tarso, significa operare e credere contro il dato di fatto disperante, significa mutare la realtà contraddicendone gli automatismi. Significa anche, portando alle conseguenze radicali la fede in “altro” – in qualcosa di “diverso” dal destino di consumo e di morte – che i tanti cristi-crocifissi della nostra Società, anche quelli reclusi, si riverberano nella nostra coscienza e “domandano” una politica più giusta, un impegno “incarnato” che si fa speranza, che realizza speranza contro la sterile e colpevole attesa.
Aldo Capitini, il liberalsocialista nonviolento, il “persuaso religioso” dell’apertura infinita e del “potere di tutti” – detenuto più volte dai fascisti alle Murate di Firenze, tra il 1942 e il 1943 –, il filosofo che ha tanto ispirato Marco Pannella, non si arrese mai al “fatto”, all’uomo inchiodato al suo passato – alla condanna senza speranza – perché era persuaso dell’infinita possibilità dell’atto di valore da parte di ciascuno, del cambiamento, dell’accrescimento costante dovuto al contributo di tutti nella produzione dei valori, di ciò che conta, di ciò che migliora lo status quo.
Questo “spazio di libertà” tra i reclusi, questa boccata d’aria per i sinceri democratici per me esiste ancora, ripropone l’esempio di Capitini e di Pannella per gli ultimi, vivifica la mia fede religiosa: coincide con l’iscrizione a Nessuno tocchi Caino e rappresenta la concretazione – qui e ora – di una “realtà liberata” che vince la violenza, che crede nella “Compresenza”, in una Unità senza omologazione che ci affratella nel comune destino/destinazione.
La Compresenza, quindi, è una prassi, una decisione politica che sostanzia lo sforzo di tutti – vivi, morti, sani, forti, umili, diminuiti, folli, carcerati, malati – nella produzione di quella aggiunta di senso e di buon senso, sempre più necessaria contro il becero senso comune della criminalizzazione progressiva di ogni “diversità”, contro il mito nefasto dell’autoritarismo che tutto risolve dimenticando, relegando ai margini, costruendo mura, erigendo filo spinato.
Un buon senso praticato che – nel 2023 – non può considerare davvero insostituibile l’Istituto di Pena, che non può credere alla costruzione di nuove carceri, alla trasformazione delle caserme in carceri, come strumento civile per domare il disagio sociale, per addomesticare gli effetti di un’ingiustizia di classe affrontata, appunto, non con il lavoro, l’emancipazione, il riscatto sempre possibile, ma solo con la deriva securitaria del Diritto.
Amnistia, indulto, depenalizzazione, misure alternative, lavoro dentro e fuori il carcere, sono un bisogno impellente, una exit strategy indispensabile per evitare la declinazione dello stato italiano come “Stato criminale” e criminogeno; e questo dicono, purtroppo, le tante sentenze della CEDU che, negli anni, hanno condannato l’Italia per le condizioni degradanti e per il sovraffollamento carcerario.
Cosa è accaduto nella Sinistra italiana? Perché tutto questo è pressoché assente nel dibattito interno dei suoi quadri dirigenti, dei movimenti e dei partiti? I diritti di libertà e giustizia, il garantismo e l’equità, sono la stessa cosa, indivisibili. Non è questa la lezione storica del socialismo riformista, gradualista, progressista?
Ho versato le mie 100 euro annuali a NTC pensando a Torino, a quelle giovani donne morte alle Vallette nell’indifferenza di tutti, chiuse nel dolore di una prigione/inferno che le ha portate a “vivere” la morte come unico scampo alla morte della “nonvita” tra le sbarre. Perché erano recluse in quelle condizioni psicologiche, perché tanto patire?
Per queste domande, perché si continui fortemente a proporle al pubblico dibattito, continuo a essere un iscritto/militante calabrese a Nessuno tocchi Caino - Spes contra Spem.
*Responsabile Centro Studi Filosofici “Aldo Capitini”, Associazione Anassilaos di Reggio Calabria