03 Maggio 2025 :
Giuseppina Dipalma su l’Unità del 3 maggio 2025
Raffaele Dipalma era un uomo nato negli anni 50, figlio degli anni 70, meridionale emigrato al nord assieme ai fratelli per cercare fortuna in un periodo storico proverbialmente razzista proprio contro i “terroni”. A 24 anni sconta una pena detentiva di 13 anni ad Alessandria, per poi tornare nel 1987 nella sua terra d’origine in un paese in provincia di Bari, Gravina in Puglia. Qui tutte le sue generazioni sono nate e cresciute: il padre, un contadino lavoratore in Italia e Germania; la madre con otto figli, ultima di quattro fratelli tutti lavoratori nel campo dell’edilizia, del cui aiuto si è avvalso Raffaele per costruire la sua casa. Già, perché lo scandalo di oggi è la normalità di ieri: edificare una casa da soli, sacrificando vizi e sfizi e convogliando tempo e risparmi nel cantiere che è il futuro della propria famiglia.
Piano e costantemente, Raffaele mette in pratica ciò per cui si era diplomato durante il carcere: geometra e edilizia. Viene assunto come capo-cantiere e si rivela un brillante dipendente che ha a cuore sia il prodotto dell’impresa che l’umore della squadra e questo si riflette nei risultati.
Raffaele Dipalma si sposa nel 1991 con una ragazza laureata in Pedagogia e insieme accudiscono gli anziani della famiglia. Sacrificano l’intimità del nido per il risparmio, rinunciano al viaggio di nozze, vivono nella casa dei suoceri e centellinano gli aiuti dei genitori nel cantiere della casa di famiglia, con due bambine in arrivo.
Ben presto, però, la seconda vita di Raffaele viene investigata. Gli chiedono cosa fa e cosa non fa, il suo datore di lavoro viene avvisato del fatto che lui è un pregiudicato e lavorare con lui non conviene. Come a voler suggerire che sarebbe stato più naturale se lui si fosse rimischiato con altri ex-detenuti, come a volerlo indurre allo sbaglio, alla ricaduta.
Il Geometra Dipalma acconsente a controlli, deposizioni e interrogatori, ma ciò non basta a sottrarlo alla gogna del sequestro delle misure di prevenzione che lo esigono estorsore, usuraio, spacciatore, evasore, riciclatore di denaro, nonostante i suoi precedenti da giovane non abbiano nulla a che fare con tali capi d’accusa. Nonostante gli avvisi orali, Raffaele continua a compiere il delitto del lavoro. Si prodiga per la bonifica dello stadio del paese, fonda l’Atletico Gravina e insieme ad altri imprenditori, concittadini e padri di famiglia crea uno spazio dove i calciatori possano prepararsi alle gare regionali, fare le trasferte, avere spogliatoi e divise.
Nel 2000 la nuova casa è finalmente pronta, ma arriva anche la nefasta diagnosi di una malattia virale mortale, un calvario della carne che dura 12 anni, nei quali mio padre trova la forza di difendersi dalle accuse del “pacchetto sicurezza” 2011.
L’indagine che porterà alla confisca definitiva della nostra casa si chiama “secondo piano”. Ovvero insinua che il tetto che mio padre ci ha messo sulla testa sia stato costruito con i proventi di spaccio di sostanze stupefacenti. Il tribunale non assume nessuna perizia tecnica e prova di innocenza; al contrario, si basa su supposizioni dichiarate “inconfutabili” per quanto riguarda i proventi giudicati “illeciti”. Il punto di forza dell’indagine è proprio descrivere un soggetto diverso dalle azioni di Dipalma-padre, sì da creare una figura più coerente alla condotta di Dipalma-giovane.
Raffaele era un uomo che non beveva neanche una birra, non fumava, non aveva tatuaggi, non giocava, non scommetteva né aveva a che vedere con attività di spaccio, e disprezzava profondamente tutto ciò, così come anche noi figli cresciuti con lo stesso costume. Era una persona sorridente e propositiva. Secondo la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari, non sono le resistenze alle tentazioni e la rinuncia allo sfarzo ad aver permesso ai coniugi Dipalma di avere un tetto sulla testa. Il calvario della malattia e la morte prematura di Raffaele non è stato l’animus che lo ha spinto a intestare la casa alle proprie figlie e a sua moglie. No, moglie e figlie sono vittime, “teste di legno” del boss mafioso, senza discussioni e senza presunzione di innocenza!
La storia romanzata del clan e della mafia parte e finisce con le fantasie di chi non ha idea di come edificare i sogni delle persone, di come incentivarle e creare un ambiente di lavoro allegro e accogliente che abbia la finalità di sviluppare un territorio. Queste invenzioni fantastiche, al contrario, risolvono la propria ignoranza con una falsa accusa: adesso nessuno potrà più dire che Raffaele è più bravo, è libero di lavorare meglio di altri, e ha guidato un’azienda nella costruzione di 80 villette bifamiliari che hanno migliorato la condizione di vita dei cittadini in Puglia. Il lavoro è sopravvalutato, non ci si può ricostruire una vita e uno status basato sul sudore della fronte e la sofferenza. Certi visionari vanno fermati prima che possano renderci un paese civile che rispetti il lavoro e il capitale!