10 Dicembre 2022 :
Fabio Falbo* su Il Riformista del 9 dicembre 2022Il rispetto della Costituzione italiana è di tenere in gattabuia dei “nonnetti”? Sono detenuto a Rebibbia da molti anni. Da un anno sono nel reparto G8 dove condivido il mio tempo e il mio spazio con persone molto anziane. Di nonni dietro le sbarre voglio segnalare solo tre casi, ma ce ne sono molti altri a Rebibbia e in altri luoghi di pena.
Il primo è quello di Antonio Russo. È nato a Napoli il 7 luglio del 1938. Ha quindi 84 anni e un residuo pena di anni 10. Il secondo è quello di Enrico Mariotti. È nato a Roma il 19 dicembre del 1940. Ha perciò 82 anni, è detenuto dal 15 marzo del 2007 e un fine pena fra 7 anni. Il terzo è quello di Santo Barbino. È nato a Sinopoli il 13 dicembre del 1942. Ha quindi già vissuto 80 primavere, è detenuto dal 23 aprile del 2009 e il suo fine pena è “mai”.
Che prospettiva di riabilitazione, percorso e senso di rieducazione potranno mai esserci su persone ultraottantenni? Se per il Russo la libertà sarà a 94 anni, per il Mariotti a 90 anni e per il Barbino mai? Dov’è il Diritto in questi casi? V’è la violazione del principio di proporzionalità affidato alla stessa pena e connesso alla funzione rieducativa insita nell’articolo 27, terzo comma, della Costituzione. V’è anche la violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione. Vi è almeno una presunzione relativa di incompatibilità con il regime carcerario fondata su ragioni umanitarie oltre che sulla evidente inadeguatezza della gattabuia a svolgere pienamente la sua funzione costituzionale nei confronti di chi ha un’età così avanzata.
Lo stesso legislatore ha presupposto la diminuzione della pericolosità sociale del condannato ultrasettantenne e il contenimento mediante l’obbligo di permanenza nel domicilio, con le prescrizioni e i controlli impartiti dal giudice. Il nostro legislatore ha posto l’attenzione sulla presunzione relativa di incompatibilità facendo capire che con l’avanzare dell’età cresce il carico di afflizione associato alla permanenza in gattabuia, considerate le grandi necessità di cura e assistenza personalizzate, che non possono essere assicurate nell’attuale contesto intramurario, contrassegnato dalla coabitazione forzata con persone di ogni età, con diverse patologie anche psichiatriche, con posizioni giuridiche e pene diverse.
A tutto ciò sì aggiunge la mancanza dei cosiddetti “piantoni”, persone anch’esse detenute che si prendono cura di persone affette come nel caso di Antonio Russo da gravi malattie: ipertensione arteriosa; cardiopatia ipertensiva; episodi di extrasistole; esofagite; artrosi; insufficienza venosa con problemi agli arti inferiori. Stessa condizione sofferente riguarda i tanti ultrasettantenni per i quali anche statisticamente la sola età costituisce una patologia.
I “piantoni” si prendono cura dei “nonnetti” facendo le pulizie della loro stanza, accompagnandoli a fare la doccia o in infermeria, lavando loro i panni e altro ancora. Purtroppo queste figure sono in via d’estinzione per mancanza di fondi e i “nonnetti” sono lasciati a perire e soffrire senza cura. Anche per una semplice operazione come il taglio delle unghie c’è chi è costretto ad affidarsi al buon cuore di un compagno di detenzione o per motivi di dignità a soprassedere.
L’età avanzata della persona condannata e la conseguente sofferenza addizionale connessa alla permanenza in carcere devono essere considerazione preminente circa l’attualità e necessità della pena, di qualsiasi pena e regime detentivo. Ciò vale anche per i detenuti ultrasettantenni in regime di 41 bis, perché la morte per vecchiaia di un detenuto rappresenta una grave sconfitta per lo Stato di diritto.
Il giudizio sulla pericolosità ritenuta nel passato è superato e neutralizzato nel presente di “nonnetti” che sono ormai ben lontani nel tempo e nello spazio da contesti, ambienti, occasioni, relazioni, capacità al delitto, tant’è che alcuni usufruiscono di permessi premio, sono stati ai domiciliari o hanno avuto accesso al lavoro esterno. È ora che questa realtà sia considerata non solo dalla società civile, ma dal legislatore perché emani norme definitive che stabiliscano un automatismo della scarcerazione non più affidata al potere discrezionale del Giudice che, purtroppo, finisce per creare discriminazione tra casi analoghi.
Intanto spero che ai miei “nonnetti’ del reparto G8 di Rebibbia sia concessa una misura alternativa ispirata al principio di umanità della pena. Ho raccontato di loro perché la Costituzione si capisce meglio se la mettiamo a confronto con i casi concreti. Come i personaggi del romanzo di Victor Hugo sono persone cadute in una condizione di miseria umana che non è personalmente la loro, ma quella che connota il loro stato di detenzione in luoghi detti di privazione della libertà ma che sono – non solo per loro, ormai “vecchi”, ma anche per quelli ancora “giovani” – divenuti di privazione anche della salute e della vita. Della dignità di esseri umani.
* detenuto a Rebibbia