12 Luglio 2025 :
Fabio Falbo su l’Unità del 12 luglio 2025
In un silenzio totale e senza difesa alcuna, quello che accade nelle carceri e di rispecchio nella società libera, non ha niente di ordine o sicurezza. Stiamo assistendo a quella censura velata che ostacola la libertà d’espressione non solo delle persone detenute. La nonviolenza è condannata in nome di una legge fatta a proprio piacimento. Più che mai deve essere vero che il fine giustifichi i mezzi e che la violenza sia levatrice della storia. Una storia scritta dal più forte che non ha letto il saggio di Lev Nikolaevic Tolstoj “Il regno di Dio è in voi”, che espone la dottrina della «non-resistenza al male per mezzo del male».
In carcere può succedere che tu sia isolato per circa 5 mesi nel reparto “per motivi di sicurezza”, con ciò privando la persona del diritto allo studio anche universitario. Può accadere che tu sia scelto dal Cappellano di Rebibbia per consegnare il dono a Papa Francesco in occasione dell’apertura della Porta Santa ma tu venga bloccato da chi non ha il potere a farlo visto che la Casa del Signore non è un luogo carcerario, anche se la stessa è ubicata in carcere. Per “motivi di sicurezza” non si è tenuto conto del Papa, dei Cardinali, del Vescovo e dei Cappellani che non solo hanno il governo assoluto sulla propria casa ma hanno scelto una persona affidabile che non ha mai tradito la fiducia nei suoi 20 anni di detenzione e di osservazione accurata. È consuetudine che gli articoli giornalistici scritti da persone detenute che svolgono un’opera trattamentale e non d’intrattenimento, non possano essere firmati con nome e cognome. Si assiste increduli e impotenti all a soppressione della presentazione del libro dell’Emerito Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato e dell’ex responsabile comunicazione della Corte costituzionale Donatella Stasio. Succede anche d’impedire a una persona detenuta da oltre 30 anni e attualmente nel carcere di Spoleto la pubblicazione del suo ultimo libro, il precedente era stato pubblicato con la Casa Editrice Castelvecchi. Nel rispetto della legge che deve fare il suo corso, si assiste increduli a come alcuni Cappellani, Suore, Psicologi o operatori in genere siano indagati. “Forse” perché hanno criticato il “sistema” e quindi il “codice del silenzio”? Il tempo sarà galantuomo per questi operatori che si crede non hanno mai tradito la fiducia nelle istituzioni.
Quello che succede in carcere succede nella società libera, ‘‘per motivi di sicurezza” sono vanificati diritti fondamentali. Purtroppo il carcere è uno specchio, spesso si giudicano le persone carcerate e i loro familiari, ma tale giudizio si estende sulla società libera che consapevole o meno, del carcere, riflette pregi e difetti. Non si vuole capire che più le “voci di dentro” vengono silenziate e più si screditerà un qualunque Stato di diritto. Queste sono voci che evadono per incontrare chi non conosce questi luoghi che fanno parte di tutta la comunità. Anche perché la voce della persona detenuta non è un pericolo, è un diritto, è un bene, è un atto di libertà. Basti pensare che nel carcere tutto è limitato: lo spazio, il tempo, i gesti. Ma con tutto ciò, c’è qualcosa che può ancora attraversare le barriere fisiche e simboliche: la voce, che non teme abusi che non hanno niente di diritto o di sicurezza. Proprio perché è una voce che racconta, che r iflette, che sogna e che è innocente. È la voce che non evade per fuggire, ma evade per farsi ascoltare. Le nostre parole che nascono da un luogo chiuso e arrivano fuori, sono una forma di resistenza al male per mezzo del bene, una prova di umanità, una richiesta di giustizia. Non zittitele, non temetele, viceversa, ascoltatele. Perché una società che sa ascoltare chi è recluso è una società che non ha paura della verità. La parola è l’unica evasione che non va fermata, va accolta, amplificata e protetta. Si ricorda che l’unica restrizione legittima è la privazione della libertà, ogni altro diritto negato, conculcato con il pretesto “sicurezza”, è un’offesa alla dignità della persona detenuta. Non è consentito, né al legislatore né all’amministrazione, di togliere insieme alla libertà la dignità e la speranza. In questi 20 anni di carcere ho capito che più mi censurano e più volo in alto dove tira più vento, lo stesso vento che non spira in un carcere dove sono ammassate persone come fossero cose.