21 Giugno 2025 :
Sergio D’Elia su l’Unità del 21 giugno 2025
Il Giappone è considerato parte del mondo “occidentale” anche se si trova all’estremo oriente, immerso nell’Oceano dove si leva il sole. Una terra dove tutto contrasta e convive nello spazio e nel tempo. I grattacieli infiniti dei quartieri pieni di luce del futuro prossimo che stanno accanto ai palazzi imperiali e ai templi del passato remoto, le grandi città densamente popolate ai piedi delle montagne innevate e i parchi senza anima viva. Nella metropoli dove tutto corre veloce, luccica d’oro e brulica di vita alberga anche il braccio della morte dove tutto è fermo, cupo, sepolto da una coltre di segretezza. È la contraddizione più forte e insanabile di una società democratica.
La Mongolia è la terra meno densamente popolata al mondo, al centro del continente asiatico, isolata da dio e dagli uomini. Se non vivi nella capitale, non vedi altro che praterie, colline, foreste e animali. In un’epoca molto lontana dalla nostra, questo piccolo paese è stato un grande impero: militare, politico e culturale. Il suo creatore e condottiero, Gengis Khan, si è autonominato “la punizione di Dio”, l’illuminato dal Signore mandato sulla terra per castigare i peccati degni di nota. Oggi, la luce che illumina la Mongolia è solo quella delle stelle che brillano nel cielo, mentre la vita sulla terra scorre lenta e segue il suo corso naturale. Non termina nel braccio della morte, dove non finiscono neppure i peccatori del più raro tra i rari peccati capitali.
Ogni cinque anni il governo giapponese effettua un sondaggio. “Sei favorevole o contrario alla pena di morte?”, chiede al popolo. La risposta del popolo è più o meno sempre la stessa. Oltre l’80 per cento dice di essere a favore. Il sistema è molto popolare e, quindi, “inevitabile” a detta anche dei leader politici che sono tutti, democratici e liberal-democratici, fieramente divisi in parlamento, strettamente uniti dal braccio della morte.
Alla fine di maggio, proprio dalla terra di Gengis Khan è arrivato in Giappone un ex leader politico a dare ai leader giapponesi una lezione di civiltà, di democrazia e di umanità. Tsakhiagiin Elbegdorj è arrivato con la fama di aver abolito la pena di morte nel suo Paese, dove era classificata come segreto di Stato e praticata senza ombra di dubbio. Nel 2010, da poco eletto Presidente, Elbegdorj ha commutato subito tutte le condanne a morte, poi ha stabilito una moratoria delle esecuzioni e alla fine ha cancellato del tutto l’ultimo retaggio dell’influenza sovietica. Per questo, nel 2011, Nessuno tocchi Caino gli ha conferito il “Premio l’Abolizionista dell’Anno”.
“Penso che la pena di morte sia una questione su cui bisogna esercitare la leadership”, ha detto l’ex Presidente, convinto che esercitarla, come dice la parola stessa, significa guidare, stare un passo avanti non dietro l’opinione pubblica. L’ex leader si è detto anche “sorpreso” dalla segretezza che ancora circonda la pena di morte in Giappone, paragonandola alla situazione che aveva trovato in Mongolia. Quando è diventato Presidente, ha deciso che doveva porre fine a “questa follia”. E, a dispetto di quanti sostengono che la pena di morte abbia un effetto deterrente, in Mongolia non è stato così. Dopo l’abolizione, ha detto Elbegdorj, i crimini violenti sono diminuiti. “Quando le persone acquisiscono maggiore conoscenza e comprensione, di solito apprezzano le argomentazioni contro la pena capitale”. Elbegdorj ha suggerito che, per ottenere il favore dell’opinione pubblica, il governo giapponese dovrebbe divulgare maggiori informazioni sulla pena di morte per facilitare un “dibattito aperto” al riguardo.
“Bisogna aver visto”, ammoniva Pietro Calamandrei a proposito del carcere, prima di decidere sui delitti e sulle pene. Così, prima di sondare, sentenziare o votare in materia, sarebbe opportuno un bel viaggio del popolo giapponese nel braccio della morte. Per vedere cosa è la pena capitale. Vedere la guardia che apre la porta della cella e annuncia un’esecuzione. Vedere il prigioniero che viene preso e portato alla camera della forca.
Vedere quando viene bendato e ammanettato con le mani dietro la schiena e una corda attorno al collo. Vedere quel quadrato rosso segnato sul pavimento e la botola che si apre all’improvviso sotto i piedi. Vedere il suo corpo precipitare e scomparire alla vista. Vedere la corda che oscilla avanti e indietro e qualcuno che la afferra finché non smette di tremare. Vedere il medico che invece della vita accerta la morte del condannato, che con lo stetoscopio ascolta il battito del cuore sul petto che sussulta ancora.
“Se sei un buon politico, e se ci sono cattive pratiche, devi andare avanti e cambiare l’opinione pubblica”, ha affermato l’uomo venuto dalla steppa mongola a spiegare agli abitanti della terra dove sorge il sole che la pena di morte è ormai giunta al tramonto, è una pratica crudele e inusuale, contraria allo spirito della democrazia, che è tale se rispetta lo stato di diritto e i diritti umani universali.