08 Maggio 2023 :
Matteo Zamboni – Avvocato e consulente in materia di diritti umani
Con sentenza del 2 maggio 2023 nel caso S.P. e altri c. Russia, la III sezione della Corte europea dei diritti dell’Uomo (la “Corte europea”) ha ulteriormente sviluppato la propria giurisprudenza in tema di dovere dello Stato di proteggere i detenuti più vulnerabili da episodi di violenza da parte di altri detenuti, fornendo un’applicazione della dottrina dei cd. obblighi positivi orizzontali.
Il ricorso era stato presentato da 11 detenuti russi che lamentavano di essere vittime di tortura per effetto delle violenze e dei maltrattamenti subiti dagli altri detenuti in ragione di un sistema informale di “regole” invalso nelle carceri russe, per cui i prigionieri sono divisi in caste, dall’élite criminale giù sino ai collaboratori e ai cosiddetti “outcast” o “intoccabili”, cioè gli individui condannati per reati percepiti come moralmente indegni dalla popolazione carceraria e che, per questa ragione, vengono regolarmente sottoposti a violenze fisiche o mentali, con il benestare delle autorità.
A titolo preliminare, occorre specificare che la Corte europea ha affermato la propria giurisdizione nonostante la Russia abbia, come noto, denunciato la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (la “Convenzione”).
Nel giungere a tale conclusione, la Corte ha rilevato che i fatti sottesi al caso erano precedenti alla data in cui lo Stato aveva cessato di essere membro del Consiglio d’Europa e della Convenzione.
A parte i tecnicismi, comunque, e anche se è improbabile che il Governo russo si impegni davvero per darvi esecuzione, la sentenza in commento è importante a livello generale, perché specifica quali sono i criteri per ritenere lo Stato responsabile di episodi di violenza non commessi direttamente da autorità pubbliche, ma da detenuti nei confronti di altri detenuti.
Infatti, la III sezione ha ricordato che la giurisprudenza della Corte ha progressivamente stabilito che gli Stati hanno l’obbligo di assicurare l’integrità fisica e psicologica, nonché il benessere, degli individui privati della libertà e di adottare misure positive per proteggere i detenuti appartenenti a gruppi vulnerabili, come per esempio i detenuti omosessuali di cui al caso Stasi c. Francia (2011), i collaboratori di giustizia di cui alla sentenza M.C. c. Polonia (2015), i colpevoli di reati sessuali di cui alla pronuncia Sizarev c. Ucraina (2013), gli ex poliziotti di cui al caso Totolici c. Romania (2014). Inoltre, la motivazione della sentenza chiarisce che, sulla base di un orientamento consolidato a Strasburgo, anche la minaccia di violenza può costituire un trattamento inumano e degradante vietato dall’art. 3 della Convenzione nel momento in cui la reiterazione della minaccia crea nella vittima uno stato di sofferenza psichica.
Date queste premesse, la III sezione ha sancito la responsabilità dello Stato convenuto, pur accertando l’assenza di coinvolgimento diretto di organi pubblici negli episodi di violenza, per essere venuto meno all’obbligo di supervisione, controllo e protezione dei detenuti, sottolineando come il carattere ricorrente degli episodi di violenza fisica e psicologica nei confronti degli “outcasts” li rendesse “impossible to ignore” da parte delle autorità e stigmatizzando l’assenza di qualsiasi misura atta a individuare e punire i colpevoli di tali crimini.
Tale caso, cui ha contribuito con un intervento di terzo la ONG European Prison Litigation Network, potrà avere importanti conseguenze in materia di protezione dei detenuti in tutti gli Stati del Consiglio d’Europa.
Link alla sentenza: https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-224435