14 Aprile 2024 :
Antonella Mascia* su L’Unità del 13 aprile 2024
Il 26 marzo 2024 la Corte EDU ha deciso di comunicare alle parti, e quindi al Governo italiano, quattro casi – Trovato c. Italia e altri tre ricorsi – dove i ricorrenti, tutti detenuti in regime differenziato di cui all’articolo 41-bis O.P., hanno lamentato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, disposizione inderogabile che vieta i trattamenti inumani e degradanti, in quanto le proroghe reiterate del regime loro applicato non sarebbero giustificate.
Con tale comunicazione si apre la fase contraddittoria e le parti sono state invitate a rispondere a due questioni, ovvero se i ricorrenti siano sottoposti a trattamenti vietati dall’articolo 3 della Convenzione a causa della ripetuta applicazione delle restrizioni previste dal regime differenziato di cui all’articolo 41 bis e se, in particolare, le autorità nazionali abbiano fornito motivazioni adeguate a giustificare tali proroghe.
In tema di regime carcerario differenziato, la Corte EDU si è già pronunciata riguardo alla sua durata, al rischio di arbitrarietà e alla necessità che vi sia una valutazione in concreto ed effettiva del singolo caso, alla luce dei cambiamenti che possono intervenire nel corso della detenzione.
Nel caso Enea c. Italia, la Grande Camera della Corte EDU ha in effetti affermato che l’applicazione prolungata di alcune restrizioni al regime carcerario ordinario può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento inumano o degradante e che la durata di tale regime deve essere esaminata alla luce del singolo caso in esame e, in sede di proroga, deve essere verificato se tali restrizioni possano essere ancora giustificate.
Nel caso Piechowicz c. Polonia, la Corte EDU ha puntato l’attenzione sul rischio di arbitrio, fissando il principio che la motivazione giustificante la proroga del regime differenziato deve permettere di verificare che vi sia stata una nuova valutazione che tenga conto di eventuali cambiamenti riguardanti il detenuto, soprattutto nel caso di una prolungata continuazione di tale regime, riscontrando peraltro che le proroghe intervenute in quel caso si erano ridotte a una pura formalità.
Nel caso Provenzano c. Italia, la Corte EDU si è infine discostata dalla sua precedente giurisprudenza con cui, fino ad allora, aveva rigettato la doglianza riguardante il regime del 41bis come un trattamento inumano e degradante in quanto i ricorrenti non avevano presentato prove che potessero indurla a concludere che le restrizioni reiterate in modo continuativo fossero ingiustificate. Nel caso Provenzano, invece, i Giudici di Strasburgo hanno ritenuto che, pur prendendo atto che in merito al passato e al ruolo criminale di spicco del ricorrente le autorità avessero fornito informazioni e motivazioni dettagliate ed esaurienti, riguardo invece al mutato stato di salute del detenuto, caratterizzato da un grave deterioramento cognitivo, non fossero state fornite argomentazioni convincenti non avendo il Ministro della Giustizia e il Tribunale di sorveglianza di Roma elaborato una valutazione esplicita sulla situazione cognitiva del ricorrente.
Questi principi saranno ora determinanti per esaminare i casi appena comunicati al Governo italiano dove i ricorrenti, pur avendo chiesto la valutazione dei loro personali percorsi di cambiamento e gli sforzi intrapresi durante la lunga detenzione, hanno ottenuto in risposta dinieghi fondati su risposte apparse ripetitive e stereotipate, prive di quella dovuta individualizzazione e valutazione dei loro singoli casi.
È dunque ora in gioco il rispetto della dignità umana che è l’essenza stessa della Convenzione la cui finalità è quella di proteggere gli esseri umani. Di conseguenza quando una persona detenuta subisce restrizioni che la escludono dalla possibilità di accedere ad ogni percorso trattamentale e alla possibilità di lavorare al proprio cambiamento, ecco che allora le autorità penitenziarie e la discrezionalità loro accordata dall’ordinamento interno dovrà essere corredata da motivazioni sufficienti e convincenti, basate su una effettiva valutazione personalizzata in modo da non compromettere la dignità umana, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione e, aggiungo, dell’articolo 27 comma 3 della Costituzione italiana.