IRAN: AGGIORNAMENTO SUL CASO DJALALI

Ahmadreza Djalali

07 Agosto 2019 :

Nei giorni scorsi era trapelata la notizia che Ahmad Reza Djalali (anche scritto Jalali) fosse stato trasferito senza preavviso dalla prigione di Evin (Teheran) a un posto non identificato, e si temeva che la sua esecuzione potesse essere imminente.
In una conversazione telefonica con la sua famiglia, lo scienziato iraniano che ha acquisito anche la nazionalità svedese ha detto di essere stato messo sotto pressione per confessare nuovi crimini, e registrare un’altra video-confessione.
Parlando a Radio Farda sabato 3 agosto, la moglie di Djalali, Vida Mehran Nia, ha detto di aver saputo dal marito che lunedì era stato portato in isolamento, ma fuori dalla prigione di Evin. "Mio marito mi ha detto al telefono che era stato sottoposto a forti pressioni per sottomettersi a una confessione forzata", ha detto la signora Mehran Nia, aggiungendo: "Loro (gli agenti dell'intelligence) lo hanno minacciato di produrre nuove accuse o di procedere con l’esecuzione. Djalali, che oggi ha 47 anni, il 21 ottobre 2017 è stato condannato a morte con l’accusa di aver passato informazioni riservate ad Israele.
La professione di Djalali era quella di medico e ricercatore, esperto nelle procedure mediche di emergenza da adottare in casi di attacchi nucleari, chimici o biologici. Ha lavorato all'Università del Piemonte Orientale di Novara, al Karolinska Institutet di Stoccolma, e alla Vrije Universiteit Brussel. Djalali nega le accuse, e anzi ritiene di essere stato arrestato “per rappresaglia” per non aver accettato la richiasta dei servizi segreti iraniani di fornire informazioni sulle infrastrutture antiterrorismo con cui collaborava in Europa. Nel febbraio 2018 la Svezia gli ha concesso la cittadinanza, nella convinzione che questo possa agevolare le trattative a favore di Djalali. Sembra che in realtà la mossa abbia molto innervosito le autorità iraniane, le quali per altro non accettano mai il concetto di “doppia nazionalità”, nemmeno in casi meno drammatici.
Djalali, che all’epoca era residente in Svezia, era stato arrestato nell’aprile 2016 dopo essere tornato a Teheran per partecipare a un ciclo di seminari su invito dell’università stessa. Il 5 dicembre 2017 la Corte Suprema ha confermato la condanna a morte. Quasi a spiegare la condanna, nel dicembre 2017 la tv iraniana aveva trasmesso un video in cui l’uomo confessava di aver fornito informazioni a Israele, informazioni che, secondo l’accusa, hanno portato anche all’uccisione, tra il 2007 e il 2012, di alcuni scienziati che lavoravano al programma nucleare iraniano. In una registrazione vocale pubblicata lo scorso ottobre su YouTube, Djalali afferma che le video-confessioni gli erano state estorte minacciando di morte lui, sua moglie, la sua anziana madre che vive in Iran, e anche i suoi figli che vivono in Svezia.

 

 

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