24 Dicembre 2023 :
Giovanna Di Rosa* su L’Unità del 24 dicembre 2023
La pena di morte storicamente è stata cancellata dal nostro sistema. L’avevamo fino al 1889 nel Codice Penale, il fascismo l’ha reintrodotta, la Costituzione poi l’ha spazzata via. L’ha ripudiata, l’ha lasciata per le leggi militari di guerra ma nel 1994 è stata sostituita dall’ergastolo. E che declinazione ha assunto questo ergastolo per noi? Dopo un anno, devo dire che tutti i correttivi che la Corte Costituzionale, tutti gli aggiustamenti che sono stati adottati, la normativa successiva e le interpretazioni che ci sono state, non è che abbiano portato a questa grande svolta.
Ai fini della concessione dei benefici carcerari, ci sono presunzioni di pericolosità sociale da superare che sono davvero di difficile vaglio: ad esempio, il superamento della famosa presunzione del non ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata, la prova negativa o quanto meno la prova fornita dall’interessato che non ci sia questo rischio. La prova negativa nel sistema costituzionale non è concepibile. Tra l’altro, il numero degli ergastolani in Italia è consistente: 1.259 secondo il Garante. E spesso questo sistema è sovrapposto anche al regime di 41 bis per il quale accenno solo una questione. La sua durata è prevista in quattro anni, la proroga di due anni in due anni. Ma come si può arrivare a prorogare un tale regime dal 1992, dal 1993? Forse c’è anche un sistema interno che non funziona. Poiché non è questo visto che noi magistrati pratichiamo le regole e la durezza di questo regime che comprime davvero i contatti e adotta con dovizia di particolari, a volte anche veramente specifici, tutte le cautele per limitare questi contatti, non si riesce davvero a capire come questi contatti possano essere reiterati, se non trascinando il vecchio reato e facendolo rivivere continuamente.
Allora, dobbiamo domandarci che cosa è pena di morte? Pena di morte è solo quella che viene praticata negli Stati Uniti? O è anche questa modalità di portare le persone a una perpetuità della pena e di un regime carcerario al di là della ragionevolezza? O la morte per pena, di drammatica attualità con il numero dei suicidi in carcere?
A questo proposito, vi racconto quel che mi è capitato di recente e sono colpitissima del fatto che nessuno ne abbia parlato, comunque se ne è parlato molto poco. La sera della prima della Scala, mentre tutto il mondo era attento a guardare i vestiti delle signore che andavano in platea a sfilare, proprio in contemporanea a questa manifestazione così patinata e al centro dell’attenzione anche delle istituzioni e di tutta la società, l’evento veniva riprodotto in vari carceri tra cui il carcere di San Vittore, dove si ripete da anni. A un certo momento lo spettacolo è stato interrotto perché un detenuto si è impiccato con la cintura dell’accappatoio alle sbarre del bagno attiguo alla cella tra l’altro molto vicina alla rotonda dove veniva trasmesso l’evento. La persona è stata subito soccorsa, con modalità drammaticamente intense per cercare di rianimarlo ma il danno era troppo grave e infatti è morto qualche ora dopo. Gli spettatori che c’erano nella rotonda per assistere allo spettacolo sono andati via toccando con mano che cosa vuol dire stare in carcere. Ma quello che mi ha colpito è stato il totale silenzio nel mondo della comunicazione. Ero attonita perché anche il resoconto di quella sera stessa e dell’indomani non ha colto la drammaticità di questa situazione, per cui mentre la gente si diverte, pensa agli affari suoi e a sé stessa, in carcere si muore. Muore una persona entrata il giorno prima in carcere e che ha un vissuto tragicamente solitario al punto che non si è riusciti a trovare un solo familiare da avvisare. Era una persona presa dalla strada la sera prima con problemi psichiatrici, portata in carcere e che si impicca dopo alcune ore, in maniera drammatica, e sotto gli occhi di tutti. Ovviamente, era una persona straniera, una persona della strada.
La povertà non è solo quella materiale. È anche quella della vita, degli affetti, della disattenzione. Allora, noi dove siamo? Lo Stato dov’è? La società dov’è? E questa non è morte per pena o pena fino alla morte? Il sistema rifletta sulla questione della psichiatria in carcere, delle carcerazioni per reati come un piccolo furto che ti porta subito in cella e sulla necessità di trovare strutture adeguate a risolvere queste nuove problematiche con le quali tutti ci dobbiamo confrontare. Non è possibile chiudere gli occhi e pensare che tanto questi problemi si risolvono sbattendoli in carcere. Più in generale, dobbiamo pensare ai modelli di detenzione assolutamente inattuali che andrebbero superati e che, invece, sono totalmente condivisi e amati.
Mi sento di dire grazie a Nessuno tocchi Caino e alla memoria di Marco Pannella che questo ha costruito e che è sempre presente nella quotidianità, nella mia quotidianità e nella quotidianità di tutti quelli che si occupano di carcere.
* Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, sintesi dell’intervento al X Congresso di Nessuno tocchi Caino