01 Luglio 2020 :
Un tribunale egiziano ha condannato all’impiccagione una donna per aver ucciso la sua bambina somministrandole una sostanza caustica in una clinica privata nel governatorato di Beheira, hanno riportato i media egiziani del 1° luglio 2020.
Il personale infermieristico e il medico di turno nella clinica della città di Rahmaniyah avevano notato il peggioramento della salute della neonata e la presenza di ustioni sulle sue labbra.
Il direttore dell'Unità di terapia intensiva neonatale del centro medico (NICU) ha chiesto allora spiegazioni al personale infermieristico e al medico che aveva in cura la ragazza, oltre a rivedere i video delle telecamere di sorveglianza. Il direttore ha così scoperto che la madre della bambina aveva chiesto al personale infermieristico di poter allattare la sua bambina, quindi ha preso una siringa contenente acido solforico dalla tasca del suo vestito facendo ingerire la sostanza alla bambina. Successivamente la madre ha gettato la siringa nella spazzatura.
L'acido solforico ha bruciato lo stomaco della bambina causandone la morte.
Il padre della vittima, una volta tornato a casa dall'estero, ha denunciato l’accaduto alle autorità, che hanno ordinato un'autopsia e un'indagine sulla vicenda.
Il rapporto forense ha rilevato bruciature di acido solforico intorno alla bocca e sul viso della vittima e che una sostanza chimica altamente corrosiva aveva causato la cessazione della funzione respiratoria, portando la vittima alla morte.
Le indagini hanno confermato che il personale della clinica medica in cui si è verificato il crimine era a conoscenza della vicenda, avendo guardato i video di sorveglianza nell'unità di terapia intensiva neonatale, tuttavia non aveva parlato a seguito delle pressioni subite dai genitori della ragazza.
Le indagini hanno anche rivelato che il padre della ragazza accusata fosse a conoscenza del crimine, tuttavia neanche lui aveva denunciato l’accaduto, per cui il procuratore ha rinviato la madre a processo, con l'accusa di aver ucciso deliberatamente la bambina, rinviando a giudizio anche il padre e il personale medico, con l'accusa di falsificazione di documenti medici della vittima e occultamento di prove.