08 Marzo 2025 :
Enrico Marignani* su l’Unità dell’8 marzo 2025
A due anni esatti dalla entrata in vigore della riforma Cartabia in materia penale, si rende necessario un bilancio, seppur sintetico, dei lavori in corso. Molto è stato fatto, ma molto è ancora da fare, anzi, potremmo dire che ciò che è stato fatto sono i preliminari alla messa a sistema della vera novità della riforma: la Giustizia di Comunità.
L’istituzione di un albo nazionale di mediatori penali esperti, coloro che da almeno cinque anni praticano la mediazione penale nei centri di giustizia riparativa, è senza dubbio un primo importante passo. È infatti un riconoscimento esplicito del lavoro svolto in passato dai già menzionati centri e, secondo una interpretazione estensiva della riforma, potranno continuare a operare parallelamente a quelli di prossima apertura che il Ministero di Giustizia delegherà alle Corti di Appello territoriali.
Ma la novità ancora più rilevante è la sentenza della Cassazione pubblicata il giorno di San Valentino del 2024, la n. 6595, con cui per la prima volta la Suprema Corte definisce in maniera esplicita la Giustizia Riparativa come “un servizio pubblico di cura delle relazioni tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale”.
L’obiter dictum ha una portata molto più ampia di quanto si creda, perché porta con sé l’idea che la Giustizia non è solo la risposta al male con la inflizione di un altro male, la punizione appunto, ma si preoccupa anche di ristabilire il benessere con la cura della ferita causata dal reato.
Per comprendere la portata rivoluzionaria della definizione di Giustizia data dalla Cassazione, è utile ripartire dalle considerazioni comuni secondo cui la giustizia è spesso rappresentata come una bilancia, un’immagine che evoca equilibrio e imparzialità. Ma per comprendere appieno la sua complessità e il suo potenziale introdotto dalla sentenza n. 6595/2024, possiamo immaginarla come un organismo vivo che respira con due polmoni: uno punitivo e l’altro relazionale.
Il polmone punitivo è quello tradizionale, radicato nella ricerca della colpa e nell’applicazione di una pena proporzionata al reato commesso. Questo approccio si basa sul principio di deterrenza e retribuzione: chi viola la legge deve risponderne di fronte alla società, e la punizione serve sia a riparare simbolicamente l’ordine infranto, sia a scoraggiare futuri comportamenti illeciti.
Il polmone relazionale, invece, si alimenta di un’altra visione della giustizia, quella riparativa. Qui, l’obiettivo non è solo individuare una colpa, ma favorire un’assunzione di responsabilità che coinvolga non solo il reo, ma anche la vittima e la comunità.
La giustizia riparativa offre uno spazio di dialogo in cui le parti possono confrontarsi, riconoscere il danno subito e lavorare insieme per ripararlo, sia a livello materiale che emotivo. In questo processo, il focus si sposta dalla punizione alla cura e alla ricostruzione delle relazioni.
Quest’ultima prospettiva è tuttavia possibile con la Giustizia di comunità, che si fonda su una società multietnica e trasversale, libera da pregiudizi di vincoli sociali, religiosi o di censo.
I valori di riferimento della Giustizia di comunità sono l’ascolto, il non giudizio e la volontarietà della partecipazione alla vita comunitaria. Questo approccio promuove una visione della giustizia basata sul dialogo e la coesione sociale, dove ogni individuo è parte attiva di un processo volto a stabilire relazioni più solide e consapevoli.
Oggi, i due polmoni della giustizia operano in modo complementare. Il sistema punitivo permane essenzialmente al fine di dare un senso di sicurezza e ordine, mentre quello relazionale inizia a trovare spazio come risposta alle limitazioni della giustizia tradizionale, soprattutto nei casi in cui il reato ha generato ferite profonde che la sola punizione non può sanare. Tuttavia, questa complementarietà rappresenta solo una fase transitoria. Con l’introduzione della Giustizia di comunità ci accingiamo a una evoluzione, oserei dire necessaria, della coscienza sociale, con cui riconoscere che il polmone relazionale non è solo un’aggiunta al sistema punitivo, ma una sua trasformazione più profonda. Infatti, nella giustizia riparativa è già implicito un senso di responsabilità e di riparazione che ingloba, in una forma più umana e inclusiva, il concetto di giustizia retributiva. Quando comprendiamo che il vero scopo della giustizia non è solo punire, ma anche prendersi cura e quindi ristabilire un nuovo equilibrio sociale fondato su un concetto di salute che si adegua continuamente al contingente, possiamo iniziare a immaginare un sistema giuridico che respira con un unico polmone: quello relazionale.
Questa evoluzione richiederà tempo, coraggio e un profondo cambiamento culturale. Ma il percorso è già tracciato. E ogni passo verso una giustizia più riparativa è un passo verso una società più consapevole e coesa, capace di riconoscere che, nell’assunzione di responsabilità e nella ricostruzione delle relazioni, si trova la vera essenza della giustizia.
* Presidente Unione Giuristi Cattolici Italiani, Treviso