22 Gennaio 2023 :
Michele Gelardi* su Il Riformista del 21 gennaio 2023
Per i siciliani vige un diritto penale speciale? In effetti, alcune pronunce giudiziali lasciano molto perplessi e sembrano suggerire l’amara conclusione che a Palermo può costituire reato ciò che a Bolzano sarebbe penalmente irrilevante.
Un caso esemplare riguarda un ex consigliere del Comune di Palermo, Giuseppe Faraone, condannato per tentativo di estorsione in concorso con una cosca mafiosa della quale non faceva parte. Accanto al concorso esterno in associazione mafiosa, del quale non si scorge traccia in alcuna parte del mondo, ci tocca salutare questa new entry: concorso “esterno” nel fatto “interno”. Il giurista potrebbe obiettare che la correità dell’extraneus nel fatto dell’intraneus non è una novità. Verissimo. Ma siffatta correità presuppone che i due soggetti abbiano concordato il fatto criminoso, successivamente realizzato dall’intraneus.
Ebbene, nel diritto speciale siciliano non c’è bisogno di alcuna decisione comune, di alcun programma criminoso concordato: l’extraneus concorre nel fatto dell’intraneus a prescindere da qualsivoglia intesa e apporto causale.
Il fatto assolutamente certo, pacificamente riconosciuto dalle parti processuali e acclarato in sentenza, è che Faraone non apparteneva ad alcuna cosca mafiosa; né strinse con chicchessia alcun pactum sceleris preordinato all’estorsione; né aveva alcun interesse personale all’illecito profitto. Secondo l’accusa, egli si sarebbe limitato a “consigliare” alla vittima di soccombere obtorto collo alla richiesta estorsiva.
In verità, egli nega qualsivoglia consiglio, tacito o esplicito, criptico o palese, e intende adoperarsi per la revisione del processo. Ma non è questo il punto; si tratta di capire come mai una res inter alios acta, che non costituirebbe reato in alcuna parte del mondo, in Sicilia acquista le sembianze di un grave reato di mafia, commesso tuttavia da un non mafioso.
Nella sentenza di condanna a carico dell’ex consigliere comunale, pronunciata secondo il rito speciale siciliano, emergono almeno tre anomalie.
Della prima si è già fatto cenno. Nella sostanza l’accusa riguardava un fatto altrui.
Il terzo non può concorrere nel fatto altrui, se non interagisce in alcun modo con l’autore (o gli autori, nel caso di specie). Una relazione deve pur instaurarsi; una collaborazione deve pur estrinsecarsi in qualche modo. Ebbene, manca nelle pagine processuali qualsiasi traccia di siffatta relazione “collaborativa”.
Manca l’appartenenza del condannato alla cosca mafiosa, alla quale si attribuisce il tentativo di estorsione; non emerge in alcun modo un disegno criminoso comune; non emerge alcuna cointeressenza economica. Nel deserto probatorio, mancano perfino gli indizi della “collaborazione”. E l’anomalia risiede proprio in ciò: il diritto penale speciale della Sicilia non esige, ai fini della responsabilità concorsuale, l’apporto materiale o l’istigazione del concorrente; basta un semplice “consiglio” disinteressato che non modifica di una virgola il fatto altrui.
A tutto concedere, in mancanza di qualsivoglia cooperazione, si potrebbe pensare al favoreggiamento. E tuttavia tale reato meno grave postula comunque il dolo del favoreggiatore, ossia la consapevolezza di costui di favorire una determinata persona o gruppo di persone, non già un soggetto ignoto, le cui vicende non destano alcun interesse. Nel caso di specie, manca pure tale consapevolezza.
In conclusione, il fatto per il quale è stato condannato Faraone, negato tenacemente da lui, si sarebbe tutt’al più concretizzato in un “consiglio” sbagliato e inopportuno, penalmente irrilevante sotto ogni latitudine e longitudine di questa terra.
Peraltro, il malcapitato è stato condannato con l’aggravante del metodo mafioso.
Si deve supporre che tale metodo sia transitato per automatismo, ignoto al diritto penale dei paesi civili, dalla cosca a colui che non apparteneva a quella e alcun’altra cosca. In sintesi, al non mafioso viene attribuita l’aggravante prevista per il mafioso. E infine si deve citare la terza anomalia, che farebbe sorridere, se non fosse tragica. Il condannato, che tuttavia si proclama innocente, ha scontato quattro anni di detenzione, in via preventiva, mentre, ne avrebbe scontati tre, in via definitiva. Beffardamente il Giudice siculo-italiano gli riconosce un “credito” di un anno di detenzione. Ovviamente tale credito potrà essere riscosso in caso di nuova detenzione, cosicché il riconoscimento del credito equivale di fatto all’augurio di una nuova detenzione.
Occorre altro per concludere che la terra sudtirolese è più felice di quella siciliana, dal momento che i suoi figli, i quali per avventura commettessero la “minkiaten” di un consiglio sbagliato, non correrebbero comunque alcun rischio di incappare in processi kafkiani speciali, caratterizzati dalla presenza della lettera M, la quale ha il potere di stravolgere le regole del diritto universale?
* Ex docente di Diritto penale