11 Febbraio 2023 :
Marco Perduca su Il Riformista del 10 febbraio 2023
Esploso come scandalo di annacquamento di documenti del Parlamento europeo relativi a violazioni di diritti umani, il Qatargate sta mettendo a nudo gravi violazioni dello Stato di Diritto in Belgio. Ma in pochi lo denunciano.
Malgrado il ferreo segreto istruttorio belga si ha notizia sulla pessima qualità della detenzione dei coinvolti, della custodia cautelare in carcere e dell’applicazione della normativa sui collaboratori della giustizia ricalcata sulle leggi antimafia italiane.
Ma ricapitoliamo i fatti: il 9 dicembre 2022 vengono arrestati l’ex eurodeputato Antonio Panzeri, il suo ex-assistente Francesco Giorgi, Eva Kaili, all’epoca vice-presidente dell’europarlamento e Niccolò Figà-Talamanca, segretario dell’Ong “Non c’è pace senza giustizia” accusati di associazione per corruzione e riciclaggio. Il 3 febbraio Figà-Talamanca è stato liberato senza condizioni, gli altri restano dentro.
Il 17 gennaio è emerso che Panzeri ha iniziato a collaborare con la giustizia firmando un memorandum che prevede un anno di reclusione, 80.000 euro di sanzione e la confisca dei proventi dalle attività criminali (circa 1 milione di euro). Nel 2018 il Belgio ha modificato alcuni articoli del codice di procedura penale che “riguardano sospetti che si sono pentiti”. Il patto sarebbe stato siglato a 24 ore dall’arresto.
La legge belga sui collaboratori di giustizia si rifà talmente tanto alla nostra che si usa l’espressione italiana “pentiti” per riferirsi a chi se ne avvale. Il Qatargate è la seconda volta che queste norme vengono applicate, la prima fu il cosiddetto “Footbelgate” del 2017-19 nel corso delle cui indagini 23 persone furono accusate di uno o più reati ma 17 furono rilasciate su condizioni, sei senza.
L’uso dei “pentiti” in Belgio è autorizzato a due condizioni cumulative: “che le esigenze dell’indagine lo richiedano e che altri mezzi non siano sufficienti alla manifestazione della verità”. La misura riguarda reati di una certa gravità. L’avvocato di Panzeri s’è affrettato a chiarire che il suo assistito ha firmato in stato di shock; indipendentemente dal fatto che si sia di fronte a una reale volontà di revisione delle proprie condotte, l’inchiesta ora si baserà su quelle dichiarazioni non occorre cercare prove di colpevolezza, il Procuratore Claise ha usato le confessioni di chi è stato scioccato dalla detenzione per cancellare l’immunità euro-parlamentare a Marc Tarabella e Andrea Cozzolino. Anche Giorgi ha iniziato a parlare ma non si sa se da “pentito”.
Chi invece continua a proclamare la propria estraneità ai fatti è Kaili.
Il giorno del suo arresto Eva Kaili è stata rinchiusa in una camera di sicurezza senza poter andare in bagno malgrado avesse le mestruazioni e privata del cappotto malgrado la stanza fosse gelida. Cosa ancora più disumana e traumatizzante, dalla sua “traduzione” al carcere di Haren continua a essere tenuta separata dalla figlia di due anni. È eccessivo parlare di tortura in questo caso? Rileggiamo l’art. 1 della Convenzione ONU che definisce la tortura come “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti a una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni…”
La legge belga prevede che le detenute madri possano avere con sé prole fino a tre anni di età, dopodiché i bambini non possono restare in carcere.
A febbraio 2023 in Belgio le madri detenute con figli sono sei. Perché non si rispetta la legge nei confronti di una persona che, tra l’altro, si trova in regime di custodia cautelare? Possibile che, tranne la deputata italiana Deborah Bergamini che, nella sua veste di membro della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, ha formalmente interrogato Maria Buric, Segretaria Generale del Consiglio, sulle condizioni di detenzione di Kaili, le istituzioni europee stiano zitte?
A dicembre 2022 un giudice olandese ha richiamato una recente relazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa sulle carceri in Belgio per negare un’estradizione. A oggi in Belgio sono ristrette 11.199 persone per una capienza regolamentare di 9.739 posti in strutture spesso vecchie anche di 150 anni. La carenza di agenti penitenziari ha fatto scattare scioperi che per settimane hanno impedito che i detenuti ricevessero biancheria o visite. La moglie di Figà-Talamanca è stata rimandata a casa un paio di volte.
Il Belgio non ha ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura – un accordo per prevenire pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti che consente la visita di autorità internazionali nelle carceri dello Stato dell’Onu.
Anche in mancanza di obblighi internazionali, però, parlamentari nazionali o europei possono far richiesta di visita ispettiva a istituti di pena in Europa. Possibile che nessuno ci abbia provato? Neanche tentare l’impresa rende conniventi a queste patenti violazioni di diritti umani.