28 Dicembre 2024 :
Valerio Fioravanti su l’Unità del 28 dicembre 2024
Biden ha “concesso clemenza” a 37 dei 40 condannati a morte federali, commutando le pene di morte in ergastoli senza condizionale ossia, come direbbe Nessuno tocchi Caino, non più pena di morte ma morte per pena.
Non ha mantenuto l’impegno di abolire la pena di morte. Qualcuno dirà che 37 su 40 è una buona percentuale. Certo. Ma non è una svolta, non è una dichiarazione di principio, non è l’affermazione di un nuovo standard netto e chiaro. I media drammatizzano l’iniziativa come se sia un dispetto fatto a Trump, al quale invece piace molto far giustiziare i criminali: svuotando il braccio della morte federale, Trump troverà solo 3 persone da far uccidere. Le “clemenze” sono un compromesso che molti avevano prefigurato. Biden è stato ondivago su questo argomento. Nella campagna elettorale del 2020 si era impegnato ad abolire la pena di morte federale e a incentivare i singoli stati a seguire l’esempio. Non ha preso nessuna iniziativa legislativa, e nemmeno ha risposto a gruppi di parlamentari che lo sollecitavano in questa direzione. In 3 casi aveva anzi autorizzato il procuratore generale (nominato da lui, ed emanazione a tutti gli effetti della linea di governo) a chiedere la pena di morte per persone sotto processo federale. In un caso (il processo a Guantanamo contro gli organizzatori degli attentati dell’11 Settembre) aveva addirittura smentito sé stesso, rinnegando gli accordi con cui un “suo” procuratore otteneva dagli imputati una confessione in cambio di una non-condanna a morte. È la politica. Biden forse avrebbe voluto, o forse chi gli aveva scritto il programma elettorale era andato un po’ oltre. Sta di fatto che salvare qualcuno sì e qualcuno no non vuol dire abolire, vuol dire, appunto, salvare qualcuno.
La cosa però ha una sua coerenza “americana”: la Costituzione prevede che la massima punizione possa essere inflitta solo ai criminali “peggiori tra i peggiori”, e quindi sostenere che 3 persone rientrano in quella categoria, e non meritano clemenza, è completamente all’interno del perimetro costituzionale, e quasi nessuno criticherà Biden per avere impostato la cosa in questo modo. I tre “peggiori tra i peggiori” sono Dylann Roof, bianco, che a 21 anni sparò ai fedeli “neri” che uscivano da una chiesa episcopale, uccidendone 9; Dzhokhar Tsarnaev, di origine cecena, che a 20 anni, assieme al fratello poi ucciso in un conflitto a fuoco, collocò una bomba sul percorso della Maratona di Boston, uccidendo 3 persone; e Robert Bowers, bianco, autore, a 46 anni, della sparatoria alla sinagoga di Pittsburgh con 11 vittime. Tre bianchi: un suprematista, un estremista islamico, e un antisemita. Molto politicamente corretto mettere solo 3 maschi bianchi nella lista dei peggiori tra i peggiori, molto “woke”. Probabilmente, tranne l’allora giovanissimo Tsarnaev trainato dal fratello maggiore, sono davvero i peggiori tra i peggiori, ma è proprio in questi casi, nei casi dei cosiddetti “crimini d’odio” che non ha nessun senso contrapporre all’odio del singolo l’odio delle istituzioni. Odio contro odio. Davvero non se ne ricava niente. Se l’alibi per la pena di morte è che un criminale prima di agire possa pensarci due volte, nel caso dei crimini d’odio questo proprio non succede. Il problema della pena di morte non è quanto sia pessimo il singolo assassino, ma quanto possa diventare pessimo uno stato se ne usa gli stessi metodi, e perché no, anche le stesse logiche.
Quasi-abolire la pena di morte è un po’ una tradizione dei politici del Partito Democratico. Il caso più famoso è lo stato di New York, dove le elezioni a governatore vengono ininterrottamente vinte dai Democratici dal 1975. Nel 2004 la Corte Suprema
dichiarò incostituzionale un comma della legge capitale allora in vigore, e il Parlamento non ha mai messo in calendario una modifica di quel comma. Quindi, lo stato non ha abolito, ma nemmeno può emettere nuove condanne.
La Governatrice democratica dell’Oregon ha sponsorizzato una nuova legge che rende applicabile la pena di morte a reati particolarmente rari, e visto che nessuno dei “suoi” 17 detenuti del braccio della morte era stato condannato per quei reati, ne ha commutato le sentenze in ergastoli. La California ha affidato l’abolizione a un referendum popolare fallito di un soffio, rimediando poi con una moratoria formale sulle esecuzioni che è in corso da anni, con un governatore democratico che ha fatto chiudere il braccio della morte per “ristrutturazione”, e spostato tutti i 632 condannati a morte in altre carceri, lasciando che si mescolassero agli altri detenuti. Insomma, ci sono vari modi “ingegnosi” per smettere di uccidere i propri cittadini, senza dover arrivare alla “abolizione”. Compromessi che tengono conto delle leggi della politica, della propaganda, degli equilibri parlamentari. Per le questioni di principio, c’è ancora da lavorare.