03 Novembre 2005 :
un ragazzo di 14 anni, identificato come Ahmad al-D., è in attesa di essere giustiziato in Arabia Saudita, rende noto l’organizzazione Human Rights Watch. Il giovane è stato condannato a morte lo scorso luglio, al termine di un processo iniquo, per l’omicidio di un bambino di tre anni, Wala’ `Adil `Abd al-Badi`, avvenuto nel 2004 a Dammam. Sia la famiglia di Ahmad che quella del bambino ucciso sono egiziane, stabilitesi in Arabia Saudita. I parenti della vittima non hanno accettato il risarcimento in denaro (detto “prezzo del sangue) offerto dai familiari di Ahmad, rifiutandosi di perdonarlo. Pertanto Ahmad resta chiuso in carcere a Dammam.“Giustiziare un adolescente per l’omicidio di un bambino aggraverebbe solo la tragedia”, ha detto Sarah Leah Whitson, responsabile Medio Oriente di Human Rights Watch, aggiungendo che “Re Abdullah dovrebbe commutare questa condanna a morte, nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Arabia Saudita”. Il Paese ha ratificato la Convenzione sui Diritti del Fanciullo, che proibisce la pena capitale per reati commessi a meno di 18 anni e protegge i diritti dei minorenni accusati o giudicati responsabili di crimini.
Nel suo rapporto 2004 al Comitato delle Nazioni Uniti sui Diritti del Fanciullo, l’Arabia Saudita ha sostenuto che “la sharia in vigore nel Regno non impone mai condanne a morte nei confronti di persone che non hanno raggiunto la maggiore età”, e che “in base al Regolamento di Detenzione e al Regolamento dei Centri per Minori del A.H. 1395 (1975), viene definito minorenne ogni essere umani di età inferiore ai 18 anni”. Le autorità saudite – denuncia Human Rights Watch - hanno violato il diritto di Ahmad al giusto processo, non consentendo adeguata tutela legale nel corso degli interrogatori, della detenzione e del processo. Resoconti di stampa e della polizia fanno sorgere dubbi sul suo equilibrio psichico in questo periodo e sulla capacità di contribuire alla propria difesa.
Ahmad ha detto al giornale online saudita al-Yaum al-Elektroni di aver confessato solo nel terzo interrogatorio di polizia, dal momento che “la mia forza è svanita ed ho perso la capacità di respingere le accuse”. Prima di essere processato, è stato rinchiuso in isolamento per tre mesi, durante i quali ha “pianto per la paura e la solitudine”.
Sebbene avesse 13 anni all’epoca dell’omicidio, il tribunale lo ha processato e condannato come un adulto, basandosi solo sulla valutazione del tono della sua voce e sulla presenza di peli pubici.