26 Ottobre 2022 :
Sergio D’Elia - Segretario di Nessuno tocchi Caino
Occorre, innanzitutto, stabilire con fermezza e senza ambiguità che nella guerra in corso nel cuore dell’Europa il torto e la ragione non sono equivalenti, ma impari. Vittime e carnefici non si somigliano, sono inconfondibili. Da una parte c’è l’aggressore, la Russia di Putin; dall’altra c’è l’aggredito, l’Ucraina.
Da nonviolenti non possiamo essere pacifisti, neutrali ed equidistanti. Abbiamo il diritto e il dovere di ingerenza, di intervento, di pronto soccorso. Con le parole di Marco Pannella, ispirate dal Mahatma Gandhi, affermiamo che “fin quando non costruiremo una società di nonviolenti, sarà dovere dei nonviolenti, se non vogliono essere vili, schierarsi al fianco della violenza più vicina alle ragioni del diritto”.
C’è obiezione di coscienza e obiezione di coscienza. Chi siamo noi per giudicare qual è quella giusta? Tra l’obiezione di coscienza al militarismo che invoca la “pace senza se e senza ma” e l’obiezione di coscienza a un pacifismo che condanna a subire la guerra chi per sua legittima difesa decide di resistervi? Siano beati sempre i costruttori di pace e i nonviolenti “intolleranti” – nel senso pasoliniano del “tollĕre” – che non levano lo sguardo, non si voltano dall’altra parte. Gli uni e gli altri sono fratelli: non vivono nella indifferenza e nella rassegnazione o nell’attesa che la pace arrivi.
Occorre sempre costruire, non attendere, la pace. Il tempo della pace va pre-visto, visto prima. Il dopo-guerra va anticipato, preparato. Nulla di buono per il dopo-guerra può avvenire che non sia stato pensato per bene e per il bene, prima, molto tempo prima, quando a imperare sono ancora il male, la violenza, il terrore. Hic et nunc. Occorre pensare, sentire, agire, vivere, qui e ora, nel modo e nel senso in cui vogliamo accadano le cose.
Allora, cosa pensiamo di fare per rendere giustizia alle vittime ucraine in Ucraina e russe in Russia della guerra di Putin? Pensiamo davvero di consegnarci al solito Tribunale dei vincitori sui vinti? Di corrispondere, in proporzione uguale e contraria, alla violenza e al dolore infinito del crimine di guerra con la durezza e il castigo esemplare del “giudice di pace”? Con la pena tremenda, senza fine, senza speranza, fino alla morte?
Non c’è pace senza giustizia, è vero, è giusto dirlo. Ma quale giustizia vogliamo? Se è quella di Dike, la dea con la spada in una mano e nell’altra la bilancia coi piatti impari, la pace può essere terrificante quanto la guerra. Prepariamo sin da oggi il tempo della pace, togliendo la spada dalla mano della giustizia e pareggiando sulla bilancia il piatto del torto con quello della ragione. Invochiamo un’altra dea, un’altra giustizia: Atena, dea della saggezza, la sua idea di giustizia che non punisce e separa, ma riconcilia e ripara.
Il “Nessuno tocchi Caino” della Genesi rimane un monito sempre più attuale. Dovesse accadere, lo diciamo sin da ora anche per Vladimir Putin, come facemmo con Saddam Hussein, anche con la proposta di esilio alternativa alla guerra. Nessuna vendetta, nessuna pena di morte, nessuna pena fino alla morte. Nessuna umiliazione! Usciamo dalla logica manichea del bene e del male della giustizia penale, del delitto e del castigo. Cerchiamo, anche in questo caso, qualcosa di meglio del diritto penale! Se vogliamo davvero una liberazione e una pace che durino nel tempo, liberiamo innanzitutto noi stessi e liberiamo il campo dagli armamentari mentali e strutturali del giudizio: indagini e tribunali, condanne e pene, procuratori e giudici, carcerieri e boia.
Scongiuriamo, quindi, per il nostro futuro la maledizione dei mezzi sbagliati che prefigurano e distruggono i fini giusti. Mettiamo in circolazione e usiamo parole e strumenti di segno diverso, coerenti coi fini che vogliamo affermare. Parliamo al male con il linguaggio del bene, all’odio con il linguaggio dell’amore, alla forza bruta della violenza con la forza gentile della nonviolenza. Per l’Ucraina e per la stessa Russia, immaginiamo sin da subito, prefiguriamo e, in tal modo, forse, riusciamo già a costruire qualcosa di diverso dalla violenza omicida e suicida di chi la guerra ha scatenato. Siamo il futuro, il diritto e la pace che vogliamo vedere affermati in quella terra e nel mondo!
Non occorre andare a cercare nella notte dei tempi per scoprire qualcosa di meglio del diritto penale. Il motto visionario “nessuno tocchi Caino” della Genesi e l’imperativo messianico “non giudicare!” del Vangelo, si sono inverati in tempi molto più recenti, quando per sanare le ferite del passato e ristorare le vittime di immani violenze, di crimini di guerra e contro l’umanità, non sono stati edificati tribunali ma corti e commissioni “verità e riconciliazione”. È successo in Ruanda, dopo il genocidio del 1994. È successo in Sudafrica nel 1995 alla fine dell’apartheid. La verità per salvaguardare la memoria delle vittime, la riconciliazione per salvaguardare il futuro della società. Da questo esempio del passato, da questa visione del futuro, letteralmente “religiosa”, tendente cioè non a separare ma a legare vissuti e mondi diversi, può venire lo spirito creatore, lo stato di grazia che, forse, ci salveranno.