08 Maggio 2021 :
Sergio D’Elia su Il Riformista del 7 maggio 2021
Il 28 aprile scorso la più alta corte del Malawi ha bandito la pena di morte, l’ultimo tetro retaggio della notte coloniale. La sua abolizione segna l’inizio di un nuovo giorno, un’alba illuminata da un sole scintillante come quello che spicca sulla bandiera nazionale e che sorge sul grande lago che ha dato il nome a questo piccolo, povero Paese dell’Africa orientale.
“L’essenza del diritto alla vita è la vita stessa, la santità della vita. Il diritto alla vita è la madre di tutti i diritti. Senza il diritto alla vita non esistono altri diritti”, ha ragionato la Corte. “La deroga al diritto alla vita è vietata direttamente e chiaramente dalla Costituzione.” Poiché “la pena di morte non solo nega, abolisce il diritto” alla vita, la Corte ha ritenuto che viola la Costituzione del Malawi.
Una Costituzione che nel suo preambolo è un inno alla nonviolenza, alla santità della vita umana e al genere umano come insieme indissolubile, alla coscienza individuale e alla saggezza collettiva, al benessere del popolo e all’armonia nazionale.
L’Alta Corte ha considerato anche che la pena capitale è “contro gli standard internazionali sui diritti umani”.
Accogliendo l’appello di Charles Khoviwa, un condannato per omicidio, la Corte Suprema del Paese ha di fatto ordinato di cancellare le sentenze dei 27 prigionieri nel braccio della morte e di accordare ai condannati un processo di revisione della sentenza che molto probabilmente non sarà una pena fino alla morte.
“Coloro che hanno scontato lunghi periodi della loro vita dietro le sbarre”, ha scritto la corte, “riceveranno brevi residui di pena da scontare oppure otterranno il rilascio immediato”.
L’ultima persona giustiziata in Malawi era stata impiccata il 26 settembre 1992 nel carcere di Zomba per mano di un boia fatto venire dal Sudafrica. Due anni dopo, il primo Presidente democraticamente eletto della nazione, Bakili Muluzi, si è fieramente opposto all’uso della forca che i coloni inglesi avevano portato con sé alla fine dell’800. Appena entrato in carica nel maggio 1994, Muluzi ha svuotato il braccio della morte, ha graziato 120 condannati a morte e le loro pene, pur commutate in ergastolo, per molti di loro hanno aperto le porte del carcere vista la lunga detenzione trascorsa. Da allora ogni presidente si è rifiutato di firmare qualsiasi ordine di esecuzione.
Il Malawi è il ventiduesimo Paese dell’Africa subsahariana a cancellare la pena di morte, dopo l’abolizione per tutti i crimini avvenuta in Ciad nel maggio del 2020. Nessuno tocchi Caino ha dato il suo piccolo contributo all’esito felice di questo movimento di liberazione dell’Africa dalla pena di morte. Nel novembre 2016, il Malawi era stato raggiunto da una nostra missione, guidata da Antonio Stango, volta a ottenere un voto a favore della Risoluzione ONU per la Moratoria Universale delle esecuzioni capitali in vista dell’abolizione della pena di morte. Negli anni successivi il Malawi ha sempre sostenuto la Risoluzione pro-moratoria al Palazzo di Vetro e ora ha lui stesso abolito la pena capitale. È un altro punto di approdo del nostro “viaggio della speranza” nel mondo che dura da quasi trent’anni, un viaggio dalla violenza alla guarigione. È straordinariamente simbolico che questo nuovo successo sia stato ottenuto in Africa, un continente dove la storia millenaria di Caino e Abele, del fratello che uccide il fratello, ha conosciuto nella storia contemporanea, coi genocidi più terribili e le guerre civili più sanguinose, una sua tragica attualità.
La pena capitale è stata a lungo obbligatoria in Malawi per i colpevoli di omicidio o tradimento e facoltativa per lo stupro. Anche rapine violente, irruzioni in casa e furti con scasso potevano essere puniti con la morte o l’ergastolo. Dopo l’abolizione della condanna a morte, la sanzione massima è ora la condanna a vita, l’ergastolo, che in Malawi però è una pena da riservare – ha detto l’Alta Corte – solo “al peggiore dei crimini”, e non è una pena “ostativa”, senza fine e senza speranza, come quella in vigore ancora nel nostro Paese.
L’Alta Corte del Malawi ha anche offerto un saggio di cultura giuridica, impartito una lezione magistrale a quei Paesi che mostrano timore a percorrere la via del diritto perché la strada sembra stretta e tortuosa, bloccata dalle correnti avverse del sentire popolare. “L’opinione pubblica è contraria all’abolizione – ha affermato la Corte – ma questa è una questione di diritto e, quindi, una materia da non risolvere nei corridoi dell’opinione pubblica.