30 Novembre 2024 :
Domenico Bilotti su l’Unità del 30 novembre 2024
Le esecuzioni pubbliche sono la pedagogia del boia per aizzare le folle (o impaurire, o entrambe le cose: le due funzioni si sostengono a vicenda). Davanti al sangue non c’è né classe né massa, né élite né moltitudine. Solo spettatori da asservire o ammonire. È successo di nuovo a Gardez, capoluogo della provincia di Paktia, in un’arena sportiva. Succede sempre più spesso: il delinquente messo a morte ha bisogno di essere mostrato come esempio per gli altri e prova della forza del potere. Negli ultimi mesi è occorso a ladri, adultere, oppositori, omosessuali. Categorie di persone e condotte, cioè, cui persino la più intransigente opinione pubblica religiosa non associa più che un generale senso di ripulsa e condanna. Corti e killer non la pensano così.
Stavolta il condannato, Mohammad Ayaz Asad, si sarebbe reso responsabile dell’omicidio di un membro dei corpi di sicurezza talebani. Finanche fosse attendibile il grave capo di imputazione, ciò non sarebbe sufficiente a chiarire le circostanze, perché in Afghanistan i gruppi paramilitari (fidelizzati per il sostegno e non per il ruolo ufficiale) hanno spesso abusato degli spazi concessi e le reazioni popolari sono di molti tipi, anche quando soffocate nel sangue.
Di questa oscura vicenda hanno colpito due aspetti. In primo luogo, la corte si è rifatta al taglione: occhio per occhio, vita per vita; dente per dente, anima per anima.
Parliamo di qisas: restituzione del torto, retribuzione del delitto con altro, e più infame, delitto. Questi meccanismi, nel diritto islamico, nascevano per superare la pena di morte, non per incrementarla, affiancandole forme di restituzione patrimoniale, finanche simbolica, e istituti giudiziali e stragiudiziali di clemenza. Il regime corre su X e da quella piattaforma ha annunciato l’esecuzione. Antioccidentalismo, guerra alle libertà degli infedeli (espressione, coscienza, voto), eppure, quando non è abbastanza l’arena, lo stadio virtuale assicura sold out davanti a milioni di utenti.
È singolare che i talebani all’origine non fossero diversi dagli altri movimenti degli studi coranici: un programma di svecchiamento della classe dirigente, di ritorno al diritto islamico sunnita (represse e definite non islamiche le minoranze sciite), di opposizione al colonialismo. Lo studio coranico è un laboratorio in fermento e nei regimi teocratici è storicamente riuscito ad avere talvolta capacità riformatrice e di miglioramento delle condizioni di vita. Ancora più spesso, però, è stato ridotto a indottrinamento per fidelizzare esecutori di atti illeciti non solo per il diritto internazionale, ma anche per la stessa legalità interna ai diversi Stati.
Non è un mistero che i quadri di al-Qaeda venissero dai possedimenti di terre, dagli studi, dalla finanza e dallo sfruttamento di materie prime.
Black Axe in Nigeria è sorta dal vastissimo mondo delle confraternite universitarie, con riferimenti almeno simbolici all’ancor più vasto mondo del cultismo tribale. In due generazioni è diventata attore nella tratta e nel traffico di esseri umani (donne, ancora una volta).
Nemmeno il diritto riesce ad aiutarci fino in fondo a comprendere il contesto. Sul piano costituzionale, la dimensione istituzionale afghana dovrebbe essere quella di transizione verso l’islamismo politico, di fatto questo passaggio è avvenuto già nel 2021 e si consuma ogni volta di più provvedimento per provvedimento. Se per assurdo non dovessero mai mutare le norme fondamentali dello Stato, ci troveremmo comunque davanti a un governo che da poteri militari transitori ha instaurato una repubblica islamica sotto il suo stretto controllo. Prima che Daesh si sgretolasse sotto il peso delle lotte intestine, del frazionismo e della resistenza kurda e degli altri gruppi di minoranza, aveva fatto scalpore, anche in Occidente, la ridda di divieti concepita contro le donne siro-irachene. Alcuni interdetti inibitori apparivano bizzarri (come l’obbligo di usare i guanti per pulire i prodotti ittici al mercato), espressivi di una mortificazione continuativa dell’esteriorizzazione della femminilità in ogni sua forma.
La sensazione è che Pakistan e Afghanistan marcino nella stessa direzione. A Kabul, in particolar modo, vietata l’istruzione superiore, si è arrivati a disporre che il suono della voce femminile in posti pubblici o aperti al pubblico fosse immorale; che il corpo andasse coperto integralmente; che non fosse possibile guardare negli occhi uomini con cui non ci sia vincolo maritale o parentale.
L’esercizio del lavoro è in picchiata, anche perché per le donne è giuridicamente limitato l’accesso a uffici e strutture che non riguardino la cura, la sicurezza e gli affari migratori. Il boia precede e complica le limitazioni di libertà. Cappio, sedia, fucile, gas... Purché sul patibolo ci finisca a morire anche la giustizia.