24 Dicembre 2013 :
Il diritto di sperare. L’ergastolo nel contesto europeo
di Davide Galliani, Università degli Studi di Milano
traccia della relazione
1. L’insufficienza del dato quantitativo: sono ancora pochi i Paesi abolizionisti
Solo 9 su 47 paesi del Consiglio d’Europa hanno abrogato l’ergastolo: Portogallo, Norvegia, Croazia, Cipro, San Marino, Andorra, Serbia, Montenegro e Bosnia, più, se si vuole, Islanda (de facto) e Città del Vaticano. Non diversamente nel mondo (3/54 Stati africani, 1/51 Stati asiatici), se si eccettua il continente latino-americano, nel quale, però, i non pochi Stati abolizionisti mantengono ragguardevoli tetti massimi di anni di pena (40, 50 e addirittura 60 anni). Gli Stati Uniti, di certo, sono il paese democratico che al mondo infligge più pene di morte e più ergastoli, anche without parole e anche ai minori: stanno all’ergastolo una cosa come 130.000 esseri umani, dei quali circa 30.000 without parole (e di questi quasi 3.000 minori al momento del reato).
2. Il peso delle culture penalistiche
La globalizzazione ha avuto risvolti importanti anche per quanto riguarda la circolazione delle culture penalistiche. Si sta assistendo ad una “americanizzazione” anche per quanto riguarda la cultura penalistica europeo-continentale. In Europa, in effetti, il mix tra populismo penale e antieuropeismo può rivelarsi drammatico. L’erompere di un unico modello penale può essere contrastato in modo concreto solo dalla politica. I giudici fanno la loro parte, gli studiosi anche, ma è la politica che genera una e non un’altra cultura penale. Ancora l’Europa continentale non è ai livelli di Stati Uniti e Regno Unito, tuttavia, la strada sembra segnata e servono correttivi prima di tutto da parte della classe politica, anche a costo di perdere qualche voto. Gli esempi sono numerosi e nella maggior parte dei casi ruotano attorno alla funzione retributiva della pena. Si pensi alla negazione del diritto di voto ai detenuti, che, per come è disciplinata nel Regno Unito, genera una vera e propria “penal apartheid”, essendo prevista in modo automatico senza alcuna calibrazione rispetto al reato e alla pena. Si pensi, ancora, al ruolo delle vittime e dei loro parenti nel processo penale: elevatissimo per gli anglosassoni, ancora accettabile per noi, anche se ci sono segnali preoccupanti. David Garland ha scritto, riferendosi al contesto anglosassone, che “ogni attenzione ai diritti dell’autore del reato è considerata una mancanza di rispetto per le vittime” e questo purtroppo è quello che sembra avvenire anche nel nostro ordinamento. Ancora, che dire delle leggi del terzo strike, nate negli USA, prontamente importante nel Regno Unito, che pure negli ordinamenti europei continentali iniziano a farsi sentire, anche se a tale proposito possiamo considerare forse “poca cosa” la nostra legislazione sulla recidiva. Infine, l’ergastolo. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito la percentuale di ergastolani sul totale dei detenuti è circa il 6%, mentre in Italia il 2%. Per fortuna almeno in questo caso manteniamo significative distanze, anche se non mancano certo da noi in Italia problemi rilevantissimi in materia di ergastolo. In tutti gli esempi riportati sembra esserci un minimo comune denominatore: quello di estremizzare la funzione retributiva della pena che, almeno se ci riferiamo al nostro ordinamento, deve (si ripete) deve essere fortemente contrastato.
3. Perché si mantiene l’ergastolo che, de facto, può non essere più perpetuo?
Perché è una pena utile al politico, specie in campagna elettorale. Il rinchiudere in una cella e gettare via le chiavi è ancora uno slogan troppo utilizzato. Per di più, dove c’è la pena di morte permette di mostrare il volto “umano” del Governatore di turno, che si convince di commutare una pena capitale in un ergastolo magari without parole. L’ergastolo, inoltre, è una pena il cui mancato effetto deterrente non è ancora statisticamente facilmente provabile, come invece per la pena di morte (anche se, paragonando i dati ad es. degli omicidi, non vi sono grandi differenze tra mantenitori e abolizionisti). Inoltre, l’ergastolo è mantenuto pur nella contraddizione di poter non essere più perpetuo poiché da soli i giudici non bastano e per di più quando intervengono lo fanno quasi sempre in modo cauto, a volte anche obbiettivamente contraddittorio, come ad es. in Italia ove l’ergastolo è incostituzionale solo verso i minori (dal 1994) pur potendo i minori, come i maggiorenni, accedere alla condizionale. I giudici devono essere sorretti dalla politica, la politica non può scaricare tutto sui giudici. Infine, sempre rispetto all’Italia, l’ergastolo è mantenuto anche perché sembra essere una pena che “copre” le insufficienze dello Stato, ad es. rispetto alla lotta alla criminalità organizzata. L’ergastolo “lava le coscienze”: non condanniamo a morte e ci sentiamo con la coscienza a posto, senza però considerare che tra la pena di morte e l’ergastolo ci sono più somiglianze che differenze, come disse un nostro autorevole costituente, il quale, pur favorevole alla pena di morte in tempo di guerra, una volta in Costituente ebbe a dire che se si fosse deciso di togliere la pena di morte, allora, lo stesso andava fatto anche per l’ergastolo, inumano allo stesso modo. Costui era Palmiro Togliatti, al quale poi si associò Aldo Moro che considerava l’ergastolo una “vergogna inimmaginabile”.
4. Eppure qualcosa si muove: Vinter e altri vs Regno Unito della Corte di Strasburgo del 9 luglio 2013
Nel Regno Unito esisteva l’ergastolo davvero effettivo. Il giudice poteva decidere di non disporre alcuna “tariffa” dopo della quale si poteva domandare la scarcerazione anticipata: invece di 15 o 30 anni, il giudice, per determinati reati (omicidio recidivo, omicidio politico o religioso, omicidio di minore con rapimento o movente sadico-sessuale), poteva stabilire che la persona non era più degna di tornare nel consorzio sociale. L’unica possibilità che residuava era domandare la scarcerazione al Ministro, il quale, tuttavia, aveva come riferimento, per decidere, una legge estremamente restrittiva (malattia incurabile che espone alla morte certa entro tre mesi, con costrizione a letto, paralisi o simili, sempre che la recidiva fosse minima!!!). Ebbene, questo sistema è stato dichiarato contrario all’art. 3 CEDU dalla Corte di Strasburgo il 9 luglio 2013. Il Whole Life Sentence (ergastolo effettivo) del Regno Unito contrasta con l’art. 3 CEDU poiché non permette alcuna revisione della sentenza e la possibile scarcerazione ad opera del Ministro non è sufficiente, sempre che avvenga (mai nessuno dei 41 all’ergastolo effettivo, solo una decina sui quasi 5.000 ergastolani inglesi). I giudici di Strasburgo, 16 vs 1, vanno oltre Kafkaris del 2008 e sostengono che il sistema inglese non configura per il detenuto alcun Right to Hope e lo fanno basandosi sulla “tedesca” dignità umana e soprattutto sulla “italiana” funzione rieducativa della pena.
5. E l’Italia e l’ergastolo ostativo, sempre meno preventivo, sempre più retributivo?
Intanto, in Italia si è superato il Codice Rocco del 1930 solo nel 1962, quando si è estesa anche agli ergastolani la possibilità di accedere alla condizionale (28 anni), prima negata. E fino al 1974 la decisione spettava al Ministro della Giustizia, poi, dopo una sentenza della Corte costituzionale (n. 204), la procedura è stata giurisdizionalizzata. Sempre nel 1974, la Corte (n. 264) ha sancito la costituzionalità dell’ergastolo proprio perché era stata permessa la condizionale e, in modo (intrinsecamente) coerente, poco dopo (n. 274/1983), è andata contro la Cassazione e ha esteso anche agli ergastolani i benefici della liberazione anticipata, ma non ovviamente quelli della semilibertà, per i quali serviva il legislatore. Finalmente, nel 1986, la legge Gozzini ha previsto anche per ergastolani permessi premio, semi-libertà (20 anni) e 26 anni per condizionale. Infine, nel 1994, la Corte (n. 168) ha dichiarato incostituzionale l’ergastolo verso i minorenni. Per i maggiorenni rimane e si fa fatica a riportare la questione di costituzionalità dinanzi alla Corte.
Tuttavia, in Italia esiste l’ergastolo ostativo ex art. 4 bis Ord. Penit., ai sensi del quale non si è ammessi ai benefici (neanche se imputati) se non si collabora con la giustizia, salvo sia impossibile o irrilevante farlo. Come si fa a sostenere, in questo caso, lo scopo rieducativo rimane un mistero, senza considerare l’assurdo onere della prova in capo al detenuto. Per fortuna, la Corte costituzionale ha vinto la resistenza della Cassazione per scioglimento del cumulo di pene, tuttavia, i problemi non mancano.
A riflettere sull’ergastolo ostativo si sarebbe tentati di dire che anche questo, quasi come quello effettivo del Regno Unito, nega la possibilità di sperare un giorno in una vera e propria liberazione. Se non soddisfa il diritto di sperare il sapere che (forse) si potrà andare a casa propria o in un ospedale a passare i pochi ultimi giorni di vita che rimangano a causa di una malattia (come accadeva nel Regno Unito), cosa dire del diritto di sperare di una persona che non è messa in condizione di collaborare con la giustizia quando la collaborazione è la sua ultima speranza? Non si scarica, in questo modo, sul detenuto colpe che non sono solo sue? Come è stato scritto, siamo nell’anticamere della tortura, che non è poi così lontano se si associa l’ergastolo ostativo con il carcere duro. Serve ricordare, a tale proposito, che il famoso condannato cipriota Kafkaris, dal cui caso nacque la decisione in materia di ergastolo più importante della Corte di Strasburgo, prima di Vinter del 2013, ricevette un giorno in carcere la visita del Capo dello Stato, il quale gli promise la liberazione se avesse collaborato svelando chi era il mandante dell’omicidio che aveva commesso. Allora, la Corte non se la sentì di dichiarare contro la CEDU il sistema cipriota che affidava al (solo) potere del Capo dello Stato la possibilità di scarcerazione, tuttavia, uno dei 7 giudici su 10 in dissenting, il giudice spagnolo, affermò testualmente che non considerare “tortura” il ricatto del Capo dello Stato dimostrava una mancanza di sensibilità indegna per una Corte dei diritti, un vero e proprio “insulto all’intelligenza”.
Un’ultima notazione. Il nuovo decreto legge in materia di diritti dei detenuti e sovraffollamento, in effetti, non risolve alcun problema in merito all’ergastolo ostativo, anzi. Stabilendo la liberazione anticipata speciale di 75 giorni per semestre anche per gli ostativi solo se si è dato prova di un “concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità” (art. 4, comma 5) altro non si fa che alimentare una vera e propria ipocrisia, un vero e proprio baratto a questo punto aggravato: che siano 45 o 75 giorni per semestre che differenza può fare se non si mette la persona nelle condizioni di collaborare? Ma la domanda deve essere più radicale: anche se potesse collaborare e decidesse di non farlo, non lede la dignità umana sventolare lo spettro di una detenzione davvero perpetua? Spesso noi guardiamo alla Germania e ci ispiriamo al loro rigore: perché non consideriamo allora che proprio in Germania anche solo ipotizzare l’uso di strumenti di tortura pur di ottenere utili informazioni è stato dichiarato contro la dignità umana? Si dirà ma il carcere non è una tortura, è un’istituzione legale prevista ed ammessa nel nostro ordinamento. Certo, è vero, ma lo sventolare il carcere perpetuo, che è cosa differente dal carcere punto e basta, è una previsione che, ancorché ammessa, prima o poi andrà riformata, speriamo ancora una volta su impulso dei giudici di Strasburgo. Sono comunque circolate proposte di inasprimento del carcere duro che come noto è spesso legato ai reati ostativi, in una sorta di abbuffata retribuzionista, mascherata di prevenzione. Bisogna fare molta attenzione: la Corte di Strasburgo ha dichiarato non contro l’art. 3 CEDU l’isolamento solo perché parziale, poiché se fosse assoluto e completo, sensoriale e sociale, sarebbe tortura e trattamento inumano e degradante. Conviene, allo Stato italiano, rischiare una condanna al cubo, dopo il sovraffollamento, anche per l’isolamento e l’ostativo?