01 Febbraio 2018 :
Nel 2016, sono state giustiziate almeno 17 donne in 7 Stati: Iran (10), Arabia Saudita (3), Somalia (1), Egitto (1), Giappone (1) e Indonesia (1). Le donne giu- stiziate rappresentano lo 0,6% del totale mondiale e le loro esecuzioni si concentrano in Paesi che applicano strettamente la Sharia. È il traffico di droga il principale reato per cui le donne sono andate al patibolo.
Nei Paesi in cui ci sono informazioni sulla pena di morte nei confronti delle donne, risulta che sono di meno rispetto agli uomini. Negli Stati Uniti ad esempio solo il 2,1% delle condanne a morte pronunciate tra il 1973 ed il 2011 erano nei confronti delle donne ed il 2,9% delle esecuzioni compiute dal 1608 ha riguardato persone di sesso femminile. Un dato che è stato letto da alcuni come prova di una discriminazione di genere nel ricorso alla pena di morte, da altri del fatto che essendo i crimini capitali per lo più crimini violenti sono con maggior frequenza commessi da uomini.
Da una ricerca del Death Penalty Worldwide emerge che, pur nella scarsità di informazioni sul numero di donne nei bracci della morte, ve ne sarebbero in meno della metà dei Paesi mantenitori vale a dire in Cina, Egitto, Giappone, India, Kenia, Malesia, Singapore, Taiwan, Tanzania, USA e Vietnam. In altri tre (Arabia Saudita, Bahrain e Kuwait) vi è almeno una donna straniera che si trova nel Paese per motivi di lavoro condannata a morte.
Dai dati di Nessuno tocchi Caino risulta che la Tailandia, è il primo paese per donne detenute: sono almeno 50 le donne che, su un totale di 427 detenuti, si tro- vano nel braccio della morte, soprattutto per reati legati alla droga. In base ai dati del Governo, dal 1934, quando il plotone di esecuzione ha sostituito l’impiccagione, la Tailandia ha giustiziato 3 donne su un totale di 325 persone. Negli Stati Uniti, nei bracci della morte ci sono 2.848 uomini (98,14%) e 54 donne (1,86%). Al 1° otto- bre 2016 nel braccio della morte federale c’erano 61 uomini e una donna. Dal 1977, sono state giustiziate 16 donne (4 nere e 12 bianche) su un totale di 1442 esecuzioni al 31 dicembre 2016. In Pakistan, secondo il Ministero degli Interni, vi sono 44 donne nel braccio della morte su un totale di oltre 6.000 condannati a morte. Il Pakistan ha giustiziato 9 donne nel corso della sua storia recente e l’ultima esecuzione è avvenuta nel 1985. Nello Sri Lanka, alla fine di aprile 2016, c’erano 28 donne nel braccio della morte su un totale di 1.004 condannati a morte, secondo quanto rife- rito da Thushara Upuldeniya, Commissario per le prigioni e portavoce del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. In Tanzania sarebbero 20 le donne nel braccio della morte su un totale di 491. Dall’indipendenza 6 donne sono state mandate a morte su un totale di 238 giustiziati per omicidio. In Uganda, nel 2016 c’erano 11 donne nel braccio della morte su un totale di 208 detenuti. Dal 1938 una donna è stata giustiziata su un totale di 377 persone mandate al patibolo. In Ghana al 10 ottobre 2016, c’erano 3 donne su 137 detenuti nel braccio della morte, secondo il Servizio Prigioni del Ghana. In Kuwait al 14 agosto 2016, c’erano 36 prigionieri, tra cui 6 donne, condannati a morte per vari reati, come omicidio pre- meditato, traffico di droga, sequestro di persona e stupro, ha reso noto il quotidiano Al-Shahed. Tre donne sono state giustiziate nel gennaio 2017. Il 12 luglio 2016, una donna dello Sri Lanka, identificata solo come S.B., insieme a tre indiani, è stata con- dannata a morte dalla Corte d’Appello del Kuwait, presieduta dal giudice Ali Diran, per traffico di eroina. Le condanne erano state emesse in primo grado dal tribunale penale nel marzo del 2016.
Nello Zambia, dove atti di clemenza cercano di far fronte al problema del sovraf- follamento carcerario, ci sono 170 dei detenuti nel braccio della morte, di cui 2 sono donne, secondo quanto dichiarato dal Commissario generale delle carceri Percy Chato il 27 aprile 2017.
In cinque Paesi la legge esclude il ricorso alla pena di morte nei confronti delle donne: Bielorussia, Guatemala, Russia, Tagikistan e Zimbabwe. Il diritto inter- nazionale pone dei limiti all’applicazione della pena di morte nei confronti delle donne legati alla maternità. L’articolo 6 (5) del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici vieta l’esecuzione di una donna incinta e le Garanzie stabilite dall’ECOSOC nel 1984 hanno esteso il divieto nei confronti delle neo-madri. Simili disposizioni sono contenute nei Protocolli Addizionali alle Convenzioni di Ginevra. È esclusa per legge l’esecuzione di donne in quasi tutti i Paesi che ancora la pre- vedono nei propri ordinamenti ed in 8 casi il divieto discende direttamente dalla rati- fica del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici: Afghanistan, Gambia, Grenada, Guyana, Liberia, Saint Vincent e Grenadine e Tanzania. In Afghanistan, le donne che vengono condannate a morte quando sono già al sesto mese di gravidanza non sono detenute fino a quattro mesi dopo il parto. A Papua Nuova Guinea, le donne incinte evitano l’esecuzione se lo chiedono. L’unico Paese al mondo in cui una donna incinta può essere legalmente giustiziata è Saint Kitts e Nevis.
Gli Stati che vietano l’esecuzione delle donne in stato di gravidanza si dividono in due categorie, quelli che ritardano l’esecuzione a dopo il parto e quelli che com- mutano la pena di morte in una pena detentiva a vita o inferiore.
In alcuni Paesi la legge specifica il periodo del rinvio che può essere breve come i 40 giorni in Marocco, i 2 mesi in Egitto e i 3 mesi in Bahrein oppure fino a 3 anni in Tailandia e nella Repubblica Centrafricana. In altri Paesi, come il Burkina Faso, il Ciad, l’Iran, il Giappone, il Libano e la Corea del Sud, l’esecuzione è rinviata per un periodo indefinito dopo il parto.
Vi sono Paesi che non hanno definito questo periodo ma che hanno ratificato la Carta africana sui diritti e il benessere del fanciullo, che vieta di imporre la pena di morte alle “madri di neonati e di bambini piccoli” (Repubblica Democratica del Congo, Mauritania, Niger e Tunisia).
Tra i Paesi che prevedono una commutazione della condanna a morte quando riguarda donne incinta vi sono: Bahamas, Botswana, Ghana, India, Kenya, Kuwait, Laos, Malawi, Malaysia, Singapore, Sri Lanka, Uganda e Zambia. In quasi tutti que- sti paesi la condanna a morte della donna incinta è commutata in carcere a vita. In Belize, la commutazione è al carcere a vita con i lavori forzati. In Malesia, la condan- na può essere al massimo a 20 anni di reclusione.
In sei paesi (Bangladesh, Eritrea, Etiopia, Iraq, Myanmar e Pakistan) è il tribunale che discrezionalmente decide se rinviare l’esecuzione a dopo il parto o commutare la condanna.
Ci sono poi Paesi che vietano l’esecuzione di donne con bambini piccoli. In alcu- ni casi la legge prevede un rinvio dell’esecuzione, dai 40 giorni per il Marocco ai 3 anni per la Tailandia. In Mali, la legge prevede che una madre non sia giustiziata fin- ché i suoi figli non saranno allontanati. In Vietnam, una condanna a morte pronun- ciata nei confronti di una donna con un figlio al di sotto dei 3 anni viene commutata alla pena dell’ergastolo. In Iran, la legge prevede che una donna non sia giustiziata se accudisce il figlio e la sua esecuzione mette in pericolo la vita del bambino. Tuttavia, si sono registrati casi di donne con bambini piccoli giustiziate in Iran.
Anche trattati internazionali a dimensione regionale vietano l’esecuzione in que- sti casi: la Carta africana sui diritti e il benessere del bambino e la Carta araba dei diritti dell’uomo. L’articolo 30, lettera e), della Carta africana sui diritti e il benessere del bambino vieta l’esecuzione di donne incinta e delle “madri di neonati e bambini”. Tra i Paesi che l’hanno ratificata, 8 (Algeria, Egitto, Guinea, Iran, Iraq, Libia, Mali e Sudan) hanno tradotto il divieto sul piano interno.
Vi è poi la Carta araba sui diritti dell’uomo che all’articolo 12 afferma che non può essere giustiziata la donna incinta prima del parto né la “madre fino ai due anni del figlio”. Sono stati parte di questa Carta araba ed escludono dal proprio ordina- mento l’esecuzione di donne con bambini piccoli Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Yemen e l’Autorità palestinese mentre non hanno ancora tradotto sul piano interno questo divieto: Kuwait, Qatar, Siria e Tunisia.
La discriminazione di genere e l’orientamento sessuale
In alcuni Stati, la pena di morte può essere imposta per adulterio e per relazioni sessuali extraconiugali. Si tratta di casi che riguardano soprattutto le donne in società in cui sono ancora profondamente radicate convinzioni discriminatorie nei loro con- fronti che trovano espressione in manifestazioni sociali, giuridiche e legislative. Studi accademici rilevano che la questione di genere è spesso alla base di un uso discrimi- natorio della pena di morte. Le Nazioni Unite si sono più volte pronunciate per la decriminalizzazione dell’adulterio, ritenendo che sia prevalentemente utilizzato nei confronti delle donne. “Le disposizioni nei codici penali spesso non trattano ugual- mente donne e uomini e stabiliscono norme e sanzioni più severe per le donne”, ha scritto Frances Raday, ex Presidente del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla discriminazione sessuale.
Queste pratiche si pongono in violazione del principio di diritto internazionale per cui la pena di morte deve essere limitata nella sua applicazione ai reati più gravi i quali, in base all’interpretazione elaborata negli anni dalle Nazioni Unite, sono i reati intenzionali con conseguenze letali.
In tal senso si é espresso il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite quando ha affermato che “l’imposizione ... della pena di morte per reati che non pos- sono essere caratterizzati come i più gravi, tra cui l’apostasia, l’omosessualità, il sesso illecito, l’abuso di pubblico potere ed il furto, è incompatibile con l’articolo 6 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici”. Il Relatore Speciale sulle esecuzioni extragiudiziali ha rilevato che le “condanne a morte possono essere imposte solo per i crimini più gravi, una condizione che esclude chiaramente le questioni di orienta- mento sessuale”.
L’adulterio può essere punito con la pena di morte, per lo più nella forma della lapidazione [vedi capitolo “La lapidazione”] in 13 Paesi: Afghanistan, Arabia Saudita, Brunei Darussalam, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Mauritania, Nigeria (in un terzo dei 36 Stati del Paese), Pakistan, Qatar, Somalia, Sudan e Yemen. In questi stessi Paesi si può andare al patibolo per omosessualità. Negli Emirati Arabi Uniti, avvocati e altri esperti non concordano sul fatto se la legge federale preveda la pena di morte per il sesso consensuale.
Per l’esattezza, la pena di morte è praticata “legalmente” (in base alla legge ordi- naria e/o della Sharia) in solo 5 dei 12 Paesi summenzionati: Arabia Saudita, Iran, Mauritania, Sudan e Yemen. In un sesto Stato, l’Iraq, dove non è prevista dal codi- ce ordinario, vi sono giudici e milizie in tutto il Paese che emettono condanne a morte in questi casi. Inoltre, pur non prevista a livello federale, in 12 Stati del Nord della Nigeria e in alcune regioni autonome del Sud della Somalia, viene applicata ufficialmente. Infine, in Brunei Darussalam, che nel 2013 ha introdotto il nuovo codice penale della Sharia, la pena di morte per atti sessuali al di fuori del matrimo- nio e tra persone dello stesso sesso dovrebbe entrare in vigore nel corso del 2018, anche se è probabile che non sarà attuato, come non è stata mai praticata in Pakistan, Afghanistan e Qatar, dove è pure prevista dalla legge della Sharia che affianca quella ordinaria.
Come “esecuzioni extragiudiziarie” andrebbero invece classificate le decine di uccisioni decise da autoproclamati tribunali della Sharia ed effettuate dallo Stato Islamico (IS) in Siria e Iraq e da Al-Qaeda in Yemen.
AFGHANISTAN
Nel 2004 è stata promulgata la nuova Costituzione dell’Afghanistan. Nei 160 articoli di cui è composta non è contenuto nessun riferimento esplicito alla Sharia. Tuttavia si dichiara che l’Afghanistan é una “Repubblica Islamica”; l’art. 130 stabili- sce che “le corti giudicano sulla base dei principi costituzionali e in conformità con la giurisprudenza hanafita” e l’articolo 3, dice che “nessuna legge può essere contraria ai principi e alle prescrizioni della sacra religione dell’Islam” prescrizioni che preve- dono la pena capitale, in particolare per reati contro la religione islamica (rapina, adulterio e apostasia o blasfemia) e per reati contro la persona (omicidio). Ma un’al- tra norma costituzionale, l’articolo 27, richiede l’esistenza di una legge che sia stata promulgata per qualificare e punire un fatto come reato, ed è facile arguire come le prescrizioni coraniche sulla pena di morte non possano essere considerate alla stessa stregua. Il codice penale afghano risale a più di trent’anni fa e il Governo ne sta pre- parando uno nuovo per unificare norme frammentarie e coprire reati lasciati fuori quando l’ultima versione è stata scritta.
Come parte del processo legislativo, nel novembre 2013, una commissione aveva avanzato un progetto di codice penale relativo ai “crimini morali” che prevedeva per gli adulteri sposati la lapidazione e le frustate per gli adulteri non spostati. Il gruppo di lavoro del Ministero della Giustizia aveva raccomandato che se una coppia è rico- nosciuta colpevole da un tribunale di rapporti sessuali al di fuori di un matrimonio legale, sia l’uomo che la donna “saranno condannati alla lapidazione se l’adultero o l’adultera sono sposati”. Se “l’adultero o l’adultera non sono sposati”, la condanna sarà “di 100 frustate”, secondo la bozza. Le disposizioni prevedevano inoltre che “la lapidazione dovrà avvenire in pubblico in un luogo predeterminato”. Dopo diversi giorni di silenzio di fronte alla crescente protesta internazionale, il Ministero della Giustizia ha dichiarato che, sebbene la lapidazione sia stata proposta, non entrerà nella nuova legislazione, perché non c’è “alcuna necessità di regolamentare la que- stione”. Il codice penale del Paese comprende già la Sharia, ma alcuni controversi aspetti delle punizioni tradizionali come la lapidazione non sono mai formalmente entrati nelle leggi dell’Afghanistan. Di fatto, dalla caduta del regime dei talebani nel 2001, in Afghanistan non è stata emessa nessuna condanna a morte per reati come l’adulterio, previsti dalla legge islamica ma senza nessuna corrispondenza con norme di diritto positivo.
Nel Paese l’influenza dei leader religiosi sul sistema giudiziario è comunque anco- ra forte. Il tristemente famoso “Ministero per la Promozione della Virtù e per la Prevenzione del Vizio”, l’implacabile agenzia talebana per l’applicazione dei principi religiosi, non è mai stato abolito, anche se ha perso il suo stato ministeriale e ora è denominato Dipartimento di Istruzione Islamica.
ARABIA SAUDITA
È il Paese islamico che applica la legge islamica nella maniera più rigida. È al 141° posto, su 144, nella graduatoria del Global Gender Gap Index. Nel settembre 2011, l’Arabia Saudita ha deciso di triplicare la diya, mantenendo però il “prezzo del san- gue” per l’assassinio di una donna la metà di quello per l’uccisione di un maschio.
La pena di morte è prescritta per le relazioni sessuali volontarie tra una donna ed un uomo al di fuori del matrimonio (Zina), quindi sia in caso di rapporti pre-matri- moniali che extra-matrimoniali. Se la persona è sposata, la pena è la lapidazione. Se non è sposata, 100 frustrate. L’omosessualità è punita con la decapitazione. Sono esentate dalla pena di morte, tra le altre categorie, le donne incinta e quelle con figli di età inferiore ai tre anni.
Anche se il reato di adulterio è difficile da dimostrare, poiché servono quattro testimoni oculari dell’atto di penetrazione, la legge è applicata maggiormente nei confronti delle donne.
L’ultima notizia di condanna di una donna per adulterio risale al 20 novembre
2015, quando una donna dello Sri Lanka, sposata e madre di due figli, che si trovava nel Paese per motivi di lavoro, è stata condannata alla lapidazione dopo aver confes- sato di aver commesso adulterio con un altro lavoratore dello Sri Lanka, che è stato invece condannato a 100 frustate perché non sposato. La condanna della donna è successivamente stata ridotta a tre anni in appello.
Nel 2016, l’Arabia Saudita ha giustiziato almeno 154 persone e di queste 3 erano donne, due delle quali etiopi. Nel 2015, su 159 persone giustiziate, 3 erano donne. Al 14 agosto 2016, c’erano 36 prigionieri, tra cui 6 donne, condannati a morte per vari reati.
Il 10 gennaio 2016, una donna etiope, Jinat Damti Farid, è stata giustiziata nella città di Taif per l’omicidio di una cittadina saudita, Ghalia Eida al-Harthi, che avreb- be ripetutamente colpito con un’accetta mentre era inginocchiata per recitare le pre- ghiere musulmane. Dopo averla uccisa, Farid avrebbe rubato due anelli d’oro e una quantità imprecisata di denaro.
Il 26 settembre 2016, una donna etiope, identificata come Zamzam Abdullah Boric, è stata giustiziata a Riad per l’uccisione di una bambina saudita. La donna avrebbe tagliato la gola alla vittima “lasciandola in bagno finché non è morta”, ha dichiarato il Ministero dell’Interno saudita, senza chiarire né movente né occupazio- ne dell’etiope.
Il 18 novembre 2016, una cittadina saudita, identificata come Munira bint Zuweid Al-Hadhli, è stata giustiziata a La Mecca per l’omicidio del marito. La donna avrebbe confessato di aver dato alle fiamme il marito che dormiva, chiudendo dal- l’esterno la porta a chiave per impedire alla vittima di fuggire.
BRUNEI DARUSSALAM
Il 1° maggio 2014, è iniziata l’implementazione “progressiva” del nuovo codice penale della Sharia del Brunei. Il nuovo Codice, promulgato il 22 ottobre 2013, pre- vede punizioni islamiche severe, tra cui la lapidazione per adulterio, l’amputazione degli arti per furto e la fustigazione per violazioni che vanno dall’aborto al consumo di alcol. Il Shariah Penal Code Order 2013 prevede la pena di morte come possibile sanzione – sia per i musulmani sia per i non musulmani – per i reati di rapina (art. 63), stupro (articolo 76), adulterio e sodomia (articolo 82). La pena di morte è inol- tre prescritta – solo per i musulmani – in caso di condanna per atti che costituiscono rapporti sessuali extraconiugali (articolo 69). Insultare tutti i versetti del Corano e gli Hadith (trasmissione orale di detti, fatti, atti, comportamenti del Profeta), blasfemia, dichiararsi un profeta o non musulmano e l’omicidio sono altri reati per i quali potrebbe essere applicata la pena di morte.
Il nuovo codice penale specifica inoltre che un modo con il quale la pena capitale deve essere eseguita per stupro, adulterio, sodomia e rapporti sessuali extraconiugali è la lapidazione, punizione che secondo i tempi previsti di attuazione della legge doveva iniziare a essere implementata a partire dal 2016. L’implementazione era pre- vista in tre fasi a seconda del tipo di reato e quindi della severità delle pene. La prima fase riguarda i reati per cui sono previste le pene pecuniarie ed il carcere, la seconda quelli per cui sono previste pene più severe come l’amputazione degli arti e le frusta- te, la terza la pena di morte.
Sul nuovo codice penale sono intervenute criticamente le Nazioni Unite. Rupert Colville, portavoce dell’Alto Commissario per i Diritti Umani ha detto che la previ- sione “della pena di morte per una vasta gamma di reati è in contrasto con il diritto internazionale”, e che chiedeva “al Governo di ritardare l’entrata in vigore del codice penale rivedendolo nel rispetto degli standard internazionali in materia di diritti umani”, invitando il Brunei a stabilire una moratoria formale della pena di morte in vista della sua abolizione. Sulla introduzione della lapidazione ha detto che “Secondo il diritto internazionale, costituisce tortura o un trattamento o punizione crudele, inumana o degradante ed è quindi vietata”. Inoltre ha ricordato che studi dell’ONU hanno rivelato che sono le donne ad essere maggiormente perseguite con la lapida- zione, a causa di pregiudizi discriminatori e stereotipi profondamente radicati.
La criminalizzazione e l’applicazione della pena di morte per le relazioni private consensuali tra gli adulti viola anche il diritto alla privacy, all’eguaglianza davanti alla legge, il diritto alla salute e alla libertà rispetto ad atti di arresto e detenzione arbitrari. Punire questo tipo di comportamenti istiga alla violenza nei confronti delle donne e per ragioni di “orientamento sessuale” ha concluso Colville.
Nel febbraio 2016 il Re ha annunciato che l’implementazione di questa terza parte del nuovo codice slitta al 2018 perché va prima completato il codice di proce- dura penale, attuata entro il 2017 la seconda fase, per poi passare alla terza.
L’ultima esecuzione risale al 1957.
EMIRATI ARABI UNITI
Negli Emirati Arabi Uniti, la lapidazione è una punizione prevista per l’adulterio secondo la legge della Sharia, ma è raro che i giudici emettano simili sentenze. In pas- sato, tribunali penali degli Emirati hanno condannato alla lapidazione persone accu- sate di adulterio, ma le condanne non sono mai state eseguite. In base alla legge isla- mica, una persona può essere condannata per adulterio se si ottiene una sua confes- sione oppure se quattro persone testimoniano. Tuttavia, rimanere incinta a seguito di una relazione fuori dal matrimonio è una prova sufficiente.
L’ultima notizia di una condanna alla lapidazione, che pare sia stata anche esegui- ta, risale al 12 maggio 2014 quando una cameriera asiatica è stata condannata alla lapidazione per aver commesso adulterio durante il matrimonio. Il caso è stato por- tato all’attenzione della polizia dopo che la cameriera è stata ricoverata in ospedale con dolori addominali. I test avevano rivelato che era incinta di circa sette mesi. La donna si sarebbe dichiarata colpevole in tribunale, ammettendo che il bambino che portava in grembo fosse il frutto di una relazione extra-coniugale. Secondo i giornali locali, il giudice ha stabilito che sarebbe stata lapidata secondo la Sharia. Non sono stati forniti dettagli sul suo compagno adultero che, in base alla legge, può essere pro- cessato per adulterio, anche se non è stato riferito se fosse un uomo sposato né se fosse stato arrestato.
L’ultima esecuzione di una donna risale al 3 luglio 2015 quando Ala’a Badr Abdullah al-Hashemi, 31enne cittadina degli Emirati è stata fucilata per un omici- dio, commesso nel dicembre 2014. La donna aveva accoltellato Ibolya Ryan, di ori- gine rumena, madre di due gemelli di 11 anni, nella toilette di un centro commer- ciale di Abu Dhabi e aveva tentato di uccidere un medico anglo-egiziano. Secondo la poliza, Hashemi si era radicalizzata l’anno precedente attraverso internet e non aveva come obiettivo un cittadino americano in particolare, ma si era messa alla ricerca di uno straniero a caso da uccidere.
IRAN
L’Iran è il Paese in cui la discriminazione di genere è maggiormente diffusa e assu- me forme parossistiche: nei procedimenti legali, la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo e la versione iraniana del “prezzo del sangue” stabilisce che per una vittima donna esso sia la metà di quello di un uomo. Inoltre, se uccide una donna, un uomo non potrà essere giustiziato, anche se condannato a morte, senza che la famiglia della donna abbia prima pagato a quella dell’assassino la metà del suo “prezzo del sangue”. L’età minima per la responsabilità penale è di poco meno di nove anni per le donne, di poco meno di 15 anni per gli uomini. Lo stupro coniu- gale e la violenza domestica non sono considerati reati penali. Non c’è da stupirsi se l’uguaglianza dei diritti delle donne sia sistematicamente negata quando si tratta di matrimonio, divorzio, affidamento dei figli, eredità, viaggio e persino per quanto riguarda l’abbigliamento. In Iran infatti le donne e persino le bambine al di sopra dei nove anni che non si coprono i capelli col velo e non seguono i codici obbligatori di abbigliamento possono essere punite con una multa e anche col carcere. L’Iran è al 139° posto, su 144, nella graduatoria del Global Gender Gap Index.
In questo clima misogino, il Consiglio dei Guardiani, il potente corpo di religiosi e giuristi islamici che controlla l’attività parlamentare e certifica che corrisponda alla legge della Sharia, ha reinserito, nell’aprile 2013, la lapidazione in una precedente versione del nuovo codice penale nella quale era stata omessa come pena esplicita per l’adulterio [vedi capitolo “La lapidazione”].
L’Iran ha avuto il tasso di lapidazioni più alto al mondo, ma nessuno sa con cer- tezza quante persone siano state lapidate. In base a una lista compilata dalla Commissione Diritti Umani del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, almeno 150 persone sono state lapidate dal 1980 a oggi. Una cifra molto probabil- mente inferiore ai dati reali, sia perché la maggior parte delle condanne alla lapida- zione è stabilita segretamente sia perché è precluso l’accesso alle informazioni in molte prigioni dell’Iran. Shadi Sadr, un avvocato iraniano difensore dei diritti umani che ha rappresentato cinque persone condannate alla lapidazione, ha detto che l’Iran ha effettuato lapidazioni segrete nelle carceri, nel deserto o la mattina molto presto nei cimiteri.
Il 21 dicembre 2016, l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato una nuova risoluzione che condanna fermamente le brutali e sistematiche violazioni dei diritti umani in Iran tra cui anche l’aumento della violenza e della discriminazione nei con- fronti delle donne. Dal 2015, almeno due donne accusate di adulterio sono state condannate alla lapidazione, secondo il rapporto del Relatore Speciale sulla situazio- ne dei diritti umani nella Repubblica islamica dell’Iran, Ahmed Shaheed, presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 30 settembre 2016. Il Governo ha osservato che la criminalizzazione dell’adulterio è coerente con la sua interpretazione della legge islamica e che la lapidazione è un deterrente efficace ma ha detto che le due condanne erano state convertite.
Dal 2006 al 2009 la lapidazione è stata praticata almeno una volta all’anno per un totale di almeno sette esecuzioni, l’ultima delle quali effettuata il 5 marzo del 2009 nei confronti di un uomo condannato per adulterio.
L’esecuzione di donne è leggermente diminuita nel 2016: sono state almeno 10, su un totale di almeno 530 esecuzioni, secondo le notizie raccolte, di cui 3 attraverso fonti ufficiali (1 per omicidio e 2 per droga) e 7 non-ufficiali (1 per omicidio e 6 per droga).
Nel 2015 le donne impiccate erano state almeno 19 su un totale di almeno 970 esecuzioni. Nel 2014 le donne impiccate erano state almeno 26.
Il 6 gennaio 2016, una donna, Zahra Nemati, è stata giustiziata, insieme ad altri quattro uomini, per reati di omicidio e droga, nella prigione centrale di Tabriz.
Il 18 aprile 2016, tre donne sono state impiccate in Iran per reati legati alle dro- ghe. Ameneh Rezaiyan, 43 anni, originaria di Taybad nell’est del Paese, era stata con- dannata a morte due anni prima. Le altre due donne, che non sono state identificate, rientravano nel gruppo di otto prigionieri che sono stati messi a morte nel carcere di Birjand, nel nord-est dell’Iran.
L’8 maggio 2016, una donna, è stata impiccata, insieme ad altri tre uomini, nel carcere di Dastgerd a Isfahan per traffico di droga.
Il 3 giugno 2016, una donna è stata impiccata insieme ad un uomo nel carcere di Qazvin, a nord-ovest di Teheran. La donna non è stata identificata, tuttavia l’uffi- cio del procuratore generale della provincia di Qazvin ha detto che era in carcere dal 2014.
Il 17 luglio 2016, una donna è stata impiccata insieme ad altri 10 uomini nel car- cere Qezelhesar di Karaj, a nord-est di Teheran per reati legati alla droga
Il 25 agosto 2016, una donna è stata impiccata insieme ad altri sei uomini nel carcere centrale di Yazd per traffico di droga.
Il 29 settembre 2016, una donna, insieme ad altri sette uomini è stata impiccata nel carcere centrale di Orumieh per reati legati alle droghe. È stata identificata come Malouk Nouri.
Il 4 ottobre 2016, tra gli otto impiccati nel carcere centrale di Urmia, per reati legati alle droghe vi era anche una donna.
Nell’ottobre 2016 era a rischio di imminente esecuzione Zeinab Sekaanvand, una donna curdo-iraniana di 22 anni, arrestata quando ne aveva 17 e condannata nel 2014 per aver ucciso il marito al termine di un processo viziato da gravi irregolarità. Zeinab Sekaanvand è stata arrestata nel febbraio 2012, all’età di 17 anni, per aver ucciso il marito, sposato quando aveva appena 15 anni. È stata trattenuta per 20 giorni in una stazione di polizia, dove - secondo quanto ha denunciato - è stata pic- chiata da agenti di sesso maschile. Ha “confessato” di aver accoltellato il marito dopo mesi e mesi di violenza psicologica e fisica e dopo che l’uomo aveva ripetutamente rifiutato di concederle il divorzio.
Il 6 febbraio 2017, un uomo e una donna sono stati condannati alla lapidazione in Iran per “relazione immorale”, ha riportato il sito web ufficiale Kashkan.
La condanna alla lapidazione contro KH. A. (l’uomo) e S-M.Th. (la donna) è stata emessa dalla Sezione 1 del Tribunale della provincia orientale del Lorestan.
“Al momento – ha detto la fonte - la sentenza è stata pronunciata da un tribunale di grado minore e comunicata agli avvocati difensori, inoltre in questo caso il ruolo del capo dell’amministrazione cittadina, dell’Ufficio della Procura e della polizia è stato notevole nel raccogliere le prove, arrestare i sospetti e passare il caso alle autorità giudiziarie”.
La fonte ha aggiunto che i due imputati sono già sotto custodia, in attesa dell’ap- provazione finale della sentenza da parte della corte.
Le donne sono discriminate anche quando si tratta di omosessualità. Fino al 2013 il termine “omosessuale” aveva rilevanza penale solo in merito alle relazioni tra donne e non per le relazioni tra uomini. Con le modifiche apportate nel nuovo codice pena- le islamico approvato nella sua ultima versione dal Consiglio dei Guardiani nell’apri- le 2013, il termine “omosessuale” riguarda anche le relazioni tra uomini. Secondo l’articolo 233 del nuovo codice, la persona che ha svolto un ruolo attivo (nella sodo- mia) sarà frustata 100 volte se il rapporto sessuale era consensuale e non era sposata, ma quella che ha giocato un ruolo passivo sarà condannata a morte a prescindere dal suo status matrimoniale. Se la parte attiva è un non-musulmano e la parte passiva un musulmano, entrambi saranno condannati a morte. In base agli articoli 236-237, gli atti omosessuali (tranne che per sodomia) saranno puniti con 31-99 frustate (sia per gli uomini che per le donne). Secondo l’articolo 238, la relazione omosessuale tra donne in cui vi è contatto tra i loro organi sessuali sarà punita con 100 frustate e, in caso di quarta recidiva, con la pena di morte.
Il 18 luglio 2016, un ragazzo di 19 anni, Hassan Afshar è stato impiccato nel carcere di Arak, nella provincia di Markazi, dopo essere stato accusato di “lavat-e be onf” (rap- porto anale forzato) nei primi mesi del 2015. L’esecuzione è stata effettuata anche se l’Ufficio del capo della magistratura iraniana aveva promesso alla sua famiglia di rivedere il caso. La Corte Suprema inizialmente aveva annullato la condanna a morte a causa di indagini incomplete, tuttavia nel mese di marzo l’ha confermata. Hassan Afshar era stato arrestato nel dicembre 2014, quando le autorità avevano ricevuto una denuncia secondo cui, insieme ad altri due giovani, avrebbe costretto un adolescente ad avere rapporti ses- suali. Afshar aveva sostenuto che gli atti sessuali fossero consensuali e che il figlio del denunciante avesse avuto in precedenza rapporti omosessuali volontariamente.
IRAQ
Il codice penale punisce l’adulterio con il carcere e non vieta espressamente gli atti omosessuali, ma persone sono state uccise dalle milizie o condannate a morte dai giu- dici in base alla Sharia. Da un Rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite nel 2014, risulta che molte donne detenute hanno detto che erano state condannate al posto di un loro parente maschio.
MAURITANIA
Nel 1980 è stata introdotta la legge islamica e la pena di morte è stata estesa all’apostasia, l’omosessualità e lo stupro, ma l’applicazione di punizioni severe in base alla Sharia – come le fustigazioni – è stata rara dal 1980.
In base al diritto islamico è adulterio una relazione sessuale consensuale al di fuori del matrimonio ed il codice penale del 1984 punisce con la pena di morte il musul- mano o la musulmana che commette adulterio se è sposato o divorziato (art. 307). Servono però stringenti condizioni come quattro testimoni oculari, una confessione e per le donne che non hanno un partner, l’essere incinta.
NIGERIA
A partire dal 1999, dodici Stati del nord della Nigeria a maggioranza islamica hanno introdotto la Sharia nei loro codici penali. Avevano suscitato l’indignazione internazionale le condanne alla lapidazione per adulterio di Safiya Hussaini e Amina Lawal e anche se le autorità nigeriane hanno più volte ribadito che la Costituzione Federale non consente lapidazioni e altre punizioni previste dalla Sharia, dal 2000 molti nigeriani islamici sono stati condannati alla lapidazione per “reati” di natura sessuale, come adulterio e omosessualità, ma nessuna condanna è stata eseguita, essendo state tutte annullate in appello o commutate in pene detentive.
Il 7 gennaio 2014, il Presidente Goodluck Jonathan ha firmato il Same Sex Marriage Prohibition Act, approvato dal Parlamento nigeriano nel 2013 e sopranno- minato la legge “Jail the Gays”. La legge prevede pene fino a 14 anni di carcere per un matrimonio gay e la reclusione fino a 10 anni per l’adesione o il sostegno a club, società e organizzazioni gay. Secondo gli attivisti, la nuova legge ha scatenato l’omo- fobia mettendo in pericolo le persone omosessuali in un Paese in cui linciaggi e giu- stizia sommaria sono comuni.
PAKISTAN
In Pakistan, il codice penale non prevede la pena di morte per adulterio o rappor- to omosessuale.
L’adulterio è un crimine nell’ambito Ordinanze Hudud [punizioni coraniche] varate nel 1979 sotto la dittatura del Generale Zia nel quadro del suo programma di islamizzazione del Paese, punibile con la pena di morte e la lapidazione, anche se solo la detenzione e le punizioni corporali sono state poi in concreto applicate. La dispo- sizione più controversa prevede che una donna debba presentare quattro testimoni per provare lo stupro subito; in caso contrario rischia l’incriminazione per adulterio. Anche se la legge sulla protezione delle donne è stata approvata dall’Assemblea
Nazionale nel 2006, permettendo che gli stupri siano perseguibili, migliaia di donne continuano a languire nelle carceri del Paese per adulterio. I magistrati possono deci- dere se trattare i casi di stupro in un tribunale civile piuttosto che islamico. La nuova legge inoltre ha abolito la pena di morte e le frustate per i rapporti sessuali extraco- niugali, nei tribunali civili. In base alle nuove misure, i rapporti sessuali extraconiu- gali saranno puniti con la detenzione per cinque anni o una multa di 10.000 rupie (165 dollari Usa).
La nuova legge del 2006 equipara il delitto d’onore all’omicidio aggravato ma in pratica viene trattato più lievemente che l’omicidio
Nonostante la legge del 2006, in remote aree rurali del Paese dove sistemi tribali e feudali sono ancora dominanti, continua a operare la jirga (giuria) tribale, alla quale la gente ricorre – invece che alla polizia – per la soluzione di dispute inter-tribali e di materie relative all’onore. Secondo le regole tribali, le donne sono considerate pro- prietà degli uomini e un’accusa di “infedeltà” è punita con la morte. Una donna sospetta di relazioni extraconiugali è dichiarata kari (peccatrice) e l’onore richiede che un membro della famiglia la uccida.
La legge del 2006 è stata adottata dopo una lunga protesta da parte di gruppi per i diritti delle donne e i diritti umani. Ma questo non ha aiutato a cambiare la situa- zione. Secondo la Commissione Diritti Umani del Pakistan, sono centinaia le donne uccise ogni anno in Pakistan nel nome dell’“onore”.
In Pakistan ci sono circa 44 donne nel braccio della morte. Il Pakistan ha giusti- ziato 9 donne e l’ultima esecuzione è avvenuta 1985.
QATAR
Il codice penale del 2004 del Qatar non mette fuorilegge l’adulterio né il rappor- to omosessuale consensuale. Parallelamente ai codici civile e penale, in Qatar vige la Sharia, anche se si applica solo ai musulmani. Il reato di Zina rende punibile con la morte qualsiasi atto sessuale di una persona sposata al di fuori del matrimonio, men- tre gli atti sessuali da parte di persone non sposate sono punibili con la fustigazione. Le esecuzioni sono sempre state rare in Qatar, anche se sentenze capitali conti-
nuano a essere pronunciate. L’ultima esecuzione risale all’11 marzo 2003.
SOMALIA
Gli atti sessuali al di fuori del matrimonio o tra persone dello stesso sesso sono puniti con il carcere, ma in alcune regioni autonome del Sud della Somalia, tribunali islamici continuano ad applicare la pena di morte secondo la Sharia.
Come “esecuzioni extragiudiziarie” andrebbero invece classificate quelle effettua- te dagli estremisti islamici di Al-Shabaab. Le donne accusate di adulterio vengono picchiate e lapidate.
Il 18 gennaio 2016, una donna è stata fucilata, insieme a suo figlio e ad un altro uomo, nella regione autonoma somala del Somaliland dopo essere stati riconosciuti colpevoli di omicidio. Secondo il tribunale di Hargeisa avrebbero ucciso Ruqiya
Saeed Ayanle, seppellendola viva all’interno della loro abitazione. La polizia locale ha detto che la vittima sarebbe stata uccisa a seguito di una lite su un debito. Testimoni hanno riportato che i tre condannati sono stati legati a dei pali all’esterno della pri- gione militare di Mandera, poi un plotone di soldati ha aperto il fuoco su di loro.
SUDAN
Ogni legge del Paese si basa sulla “Sharia islamica come fonte principale della legge”. Secondo la legge, a una donna musulmana non è permesso sposare un uomo non musulmano e un tale matrimonio è considerato adulterio. La pena per l’adulte- rio ai sensi dell’articolo 146 del codice penale è di 100 frustate se l’autore del reato non è sposato, la lapidazione se è sposato e il maschio non sposato può essere sogget- to oltre che alla fustigazione anche all’esilio per un anno. Il codice penale del 1991 criminalizza anche l’omosessualità. Di solito, gli uomini sono giustiziati al terzo caso, mentre la donna può essere giustiziata al primo caso.
YEMEN
Il sistema giuridico dello Yemen si basa sulla legge della Sharia e sul diritto con- suetudinario.
La pena di morte è prevista per una serie di reati tra cui reati sessuali. Il codice penale del 1994 prescrive 100 frustate per rapporti sessuali fuori dal matrimonio e in caso di adulterio la pena è la lapidazione. Secondo il codice penale del 1994, gli uomini sposati possono essere condannati a morte per lapidazione per rapporti omo- sessuali. Gli uomini non sposati rischiano la fustigazione o un anno di carcere. Le donne devono affrontare fino a sette anni di carcere.
Il 4 gennaio 2016, una donna è stata lapidata in Yemen dopo essere stata accusata di adulterio e prostituzione da un tribunale della Sharia di Al-Qaeda. La donna spo- sata è stata uccisa in pubblico nella città di Al Mukalla, caduta sotto il controllo di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). I miliziani hanno messo la donna in una buca nel mezzo del cortile di un edificio militare e l’hanno lapidata in presenza di decine di residenti, ha riferito un testimone oculare. Secondo il verdetto emesso dal tribunale della Sharia locale, la donna avrebbe confessato davanti ai giudici di aver commesso adulterio, di aver praticato la prostituzione e di aver fumato hashish. La donna è stata condannata alla lapidazione per aver commesso adulterio e a ottanta frustate per consumo di hashish.
La guerra anti donne e gay dello Stato Islamico
Come “esecuzioni extragiudiziarie” andrebbero invece classificate le esecuzioni per adulterio e omosessualità decise da autoproclamati tribunali della Sharia ed effet- tuate dallo Stato Islamico (IS) in Siria e Iraq.
In Iraq, il 15 febbraio 2016, quattro donne curde, dopo essere state violentate, sono state lapidate da miliziani dell’IS per aver ‘commesso adulterio’. In base alle testimonianze, le vittime erano state arrestate nonostante i miliziani avessero abusato di loro durante un raid nella città di Mosul. Sono state portate davanti a un tribunale della sharia che ha ordinato la loro esecuzione pubblica, senza fornire dettagli sui loro violentatori. Le quattro donne sono state lapidate di fronte alla folla, secondo fonti locali.
Un attivista siriano di nome Abdullah ha dichiarato all’agenzia di stampa ARA News: ‘Le quattro donne sono state molto probabilmente abusate sessualmente da miliziani dell’IS prima di essere portate via dalle loro case e trasferite presso la Corte della Sharia. Raafat Zarari, portavoce del centro di informazione di Ninive, ha detto all’agenzia che le quattro vittime erano state arrestate il10 febbraio in un raid dell’ISIS. Ha poi aggiunto: ‘I jihadisti hanno affermato di aver catturato le donne mentre commettevano adulterio’.
Il 9 giugno 2016, lo Stato Islamico ha lapidato una donna irachena nel distretto di al-Tahrir della città di Mosul, dopo che la Corte della Sharia l’ha condannata per aver commesso adulterio. L’8 ottobre 2016, lo Stato Islamico ha giustiziato una donna di 32 anni, nella città irachena di Mosul, dopo averla accusata di adulterio. Decine di persone hanno partecipato alla lapidazione della donna che secondo fonti informate sarebbe stata condannata a morte solo perché aveva rifiutato di sposare un jihadista dell’ISIS. In Siria, le forze dell’IS hanno continuato la loro campagna per incutere terrore, attraverso esecuzioni pubbliche, amputazioni, frustate e finte croci- fissioni sulla pubblica piazza con i residenti, compresi i bambini, costretti a guardare. Le esecuzioni in spazi pubblici sono diventate uno spettacolo comune il venerdì a Raqqa e nelle zone controllate dall’IS nel governatorato di Aleppo. All’inizio del 2016, militanti dello Stato Islamico hanno gettato un ragazzo di 15 anni accusato di essere gay giù dal tetto di un edificio nella città siriana di Deir ez-Sor. Il ragazzo era stato scoperto nella casa di un leader dell’ISIS, al quale è stata però risparmiata la brutale punizione inflitta all’adolescente.
Il 6 gennaio 2016, un miliziano di 21 anni, Ali Saqr, ha ucciso sua madre Lena al-Qasem, 47 anni, con un’arma da fuoco di fronte a diverse centinaia di persone nei pressi di un ufficio postale in cui la donna lavorava. La donna aveva invitato il figlio a lasciare lo Stato Islamico e fuggire da Raqqa, ragion per cui i capi dell’ISIS l’hanno dichiarata colpevole di apostasia.