25 Novembre 2020 :
Appello contro l’esecuzione di Ahmadreza Djalali, un medico e scienziato che ha lavorato anche in Italia.
In una telefonata a sua moglie oggi, 24 novembre, Ahmadreza Djalali (anche scritto Ahmad Reza Djalali o Ahmadreza Jalali), un medico e accademico iraniano-svedese nel braccio della morte nella prigione di Evin, le ha detto che era stato trasferito in isolamento e che presto sarà trasferito nella prigione di Rajai Shahr, dove deve essere eseguita la sua condanna a morte.
Iran Human Rights invita ancora una volta la diplomazia internazionale, in particolare i governi dell'Unione Europea, a fare pressione sulla Repubblica islamica perché fermi l’esecuzione e consenta a Djalali di tornare dalla sua famiglia in Svezia.
Il direttore dell'IHR, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha dichiarato: “Come altri cittadini con doppia cittadinanza, Ahmadreza Djalali è vittima di una presa in ostaggio da parte della Repubblica islamica. È stato condannato a morte dopo un processo gravemente iniquo basato su accuse inventate. Chiediamo alla comunità internazionale di utilizzare tutti i loro mezzi diplomatici per esercitare pressioni più intense sulla Repubblica islamica affinché sospenda la condanna a morte di Djalali".
Sottolineando la disumanità della pena di morte stessa, Iran Human Rights considera la condanna a morte del dottor Djalali il risultato delle teorie del complotto da parte dei funzionari della sicurezza iraniani per accusare i cittadini con doppia cittadinanza di spionaggio, sottoporli a forti pressioni, e torturarli per ottenere confessioni forzate, violando il loro diritto ad un equo processo.
Djalali è un medico e ricercatore, esperto nelle procedure mediche di emergenza da adottare in casi di attacchi nucleari, chimici o biologici. Oggi ha 48 anni. Ha lavorato in diverse università europee, tra cui, tra il 2012 e il 2016 al Centro di ricerca interdipartimentale in medicina dei disastri (Crimedim) dell’Università del Piemonte Orientale.
Nel 2016, su invito ufficiale dell'Università di Teheran, era rientrato in Iran per una conferenza, e il 24 aprile 2016 è stato arrestato da agenti del Ministero dell'Intelligence.
Inizialmente accusato di "collaborazione con stati ostili", è stato successivamente condannato per "moharebeh (inimicizia contro Dio) attraverso lo spionaggio per Israele" dalla Corte Rivoluzionaria di Teheran, sentenza confermata Corte Suprema. Nel dicembre dello scorso anno 134 premi Nobel avevano inviato una lettera alla Guida suprema iraniana Ali Kamenei chiedendo che Djalali “potesse tornare a casa da sua moglie e dai suoi figli e continuare il suo lavoro accademico a beneficio dell'umanità".
Per una più ampia ricostruzione del caso Djalali, vedi NtC 03/08/2019, 21/08/2019, 25/08/2019, 18/12/2019.
https://iranhr.net/en/articles/4505/