13 Giugno 2021 :
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista dell’11 giugno 2021
Il 24 maggio, Awad Suleiman Al-Amrani ha fermato la spada del boia che stava mozzando la testa di chi gli ha ucciso il figlio. Lo ha fatto pochi minuti prima che si consumasse l’irreparabile, l’esecuzione per decapitazione come ancora si usa fare in Arabia Saudita. Lo ha fatto concedendo il perdono a quell’uomo che, nel corso di una rissa avvenuta quattro anni prima, gli ha tolto quanto di più caro avesse. Lo ha fatto per dono, come atto unilaterale senza chiedere nulla in cambio.
Secondo la legge islamica, i parenti della vittima di un delitto hanno tre possibilità: esigere l’esecuzione della sentenza, risparmiare la vita dell’assassino con la benedizione di Dio oppure concedergli la grazia in cambio di un compenso in denaro, detto Diya (prezzo del sangue) come risarcimento per la perdita subita.
In Arabia Saudita esiste il Comitato per la Riconciliazione, un’organizzazione nazionale che punta a ottenere il perdono dei prigionieri del braccio della morte e aiuta a risolvere le lunghe dispute inter-familiari e tribali. La sua funzione è di evitare che la famiglia della vittima mercanteggi sul “prezzo del sangue”. Dalla sua istituzione nel 2008, il Comitato ha trattato migliaia di casi di condannati a morte per omicidio ed è riuscito a ottenere il perdono per centinaia di loro.
Non so se Al-Amrani si sia avvalso di questo Comitato. Fatto sta che ora l’omicida di suo figlio uscirà dal carcere. Al-Amrani ha posto solo una condizione: che né l’omicida né la sua famiglia festeggino il perdono, né cerchino di raccogliere fondi da donatori o partecipino a eventi che potrebbero essere organizzati a seguito della rinuncia all’esecuzione.
Al-Amrani ha arrestato la corsa sfrenata all’esibizione, quella pubblica di una giustizia che decapita in piazza e quella privata di chi festeggia lo scampato pericolo e magari ne lucra.
Al-Amrani ha commosso per la sua generosa clemenza. Il pathos del suo nobile gesto si è tradotto, nei social, in un susseguirsi di versi e citazioni del Corano che esortano al perdono.
L’Arabia Saudita è stata per anni tra i primatisti mondiali per numero di esecuzioni, salvo ridurne drasticamente il numero negli ultimi anni. Se nel 2019 erano state 184, nel 2020 sono state 27 mentre quest’anno ne abbiamo monitorate “solo” 4 fino ad oggi.
Una sorta di mistero avvolge le ragioni della scelta di Al-Amrani e al contempo preserva l’autenticità di una decisione tanto singolare quanto potente. Perché in fondo quanto accaduto pochi giorni fa in una parte della mezzaluna fertile è una manifestazione di “Spes contra spem”. Un modo di pensare e di agire improntato alla fede incrollabile in un futuro migliore, talmente radicato da non condurre mai ad abbandonare la fiducia, anche quando le circostanze concrete sono così avverse da indurre a perdere ogni speranza. Un modo di pensare e agire che trasforma il motto “mors tua, vita mea” – che ci induce a vivere ancora come guerrieri capaci di sentirsi vivi solo sopprimendo o opprimendo l’altro – nel rivoluzionario “vita tua, vita mea”.