ANALISI DEI DATI DEL RAPPORTO 2015 E OBIETTIVI DI NESSUNO TOCCHI CAINO

31 Luglio 2015 :


 
Verso la fine dello Stato-Caino
 
Come abbiamo visto emergere dai dati del Rapporto 2015 di Nessuno tocchi Caino, l’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre quindici anni, si è confermata nel 2014 e nei primi sei mesi del 2015.
Dalla fondazione nel 1993 di Nessuno tocchi Caino a oggi, ben 64 dei 97 Paesi membri dell’ONU allora mantenitori della pena di morte hanno smesso di praticarla, 22 dei quali lo hanno fatto dal 2006, cioè dopo il rilancio dell’iniziativa pro-moratoria al Palazzo di Vetro.
Il voto del 18 dicembre 2014 dell’Assemblea Generale ONU a favore della moratoria universale delle esecuzioni capitali, il quinto in sette anni e con il numero record di 117 voti favorevoli, testimonia dell’evoluzione positiva in atto nel mondo verso la fine dello Stato-Caino e il superamento del fasullo e arcaico principio dell’occhio per occhio. E’ stato determinato dalla scelta dialogica e creativa di Nessuno tocchi Caino e del Partito Radicale di proporre – sin dall’inizio e da soli – la moratoria delle esecuzioni come passaggio chiave per giungere all’abolizione.
Ancora una volta, dobbiamo salutare con soddisfazione il fatto che negli Stati Uniti, nel maggio 2015, un altro Stato – il Nebraska – ha abolito la pena di morte, diventando il diciannovesimo Stato della federazione ad abolirla e il settimo a farlo negli ultimi otto anni. Altri sei Stati non hanno effettuato esecuzioni da almeno 10 anni e possono essere considerati “abolizionisti di fatto”, mentre altri quattro hanno sospeso le esecuzioni a causa degli evidenti difetti che connotano il sistema capitale.
Inoltre, il Presidente Barack Obama ha mantenuto la moratoria di fatto delle esecuzioni federali, già di per sé rare, che dura da 12 anni, e ha anche ordinato una revisione della pratica dell’iniezione letale e sollevato “forti interrogativi” sull’equa applicazione della pena di morte sotto il profilo razziale.
Infine, il 13 luglio 2015, il Presidente Barack Obama ha ridotto le pene detentive di 46 persone condannate per reati non violenti legati alla droga, 14 dei quali all’ergastolo, perché le loro punizioni erano esagerate rispetto al crimine commesso. Obama ha finora concesso 89 commutazioni durante la sua presidenza, 76 delle quali nei confronti di condannati per reati di droga. Le 46 commutazioni concesse in un solo giorno costituisce un record che non si registrava dai tempi del Presidente Lyndon B. Johnson e le 89 condanne commutate da Obama finora superano il totale complessivo di commutazioni concesse dai Presidenti Ronald Reagan, George Bush, Bill Clinton e George W. Bush messi insieme.
Queste commutazioni vanno inquadrate nel tentativo dell’amministrazione Obama di ridurre i costi e il sovraffollamento delle carceri federali e dare un po’ di sollievo ai detenuti. Ma è solo una goccia d’acqua nel mare della popolazione detenuta negli Stati Uniti, i quali hanno meno del 5 per cento della popolazione mondiale, ma – occorre ricordarlo – quasi il 25 per cento della popolazione carceraria totale del mondo. Da questo dato emerge sempre di più un complesso carcerario industriale americano, che si aggiunge al noto complesso militare industriale, con tutti i suoi effetti collaterali letali, innanzitutto per la democrazia americana. Per fare un paragone di per sé molto significativo e preoccupante: se il “regime dispotico” cinese ha una popolazione carceraria di circa 2.300.000 persone, tra detenuti condannati (1.650.000) e quelli in attesa di giudizio o in detenzione amministrativa (circa 650.000), il “sistema di correzione” americano ha una popolazione detenuta di circa 2.220.300 persone. In altre parole, in Cina ci sono 165 detenuti su 100.000 abitanti; negli USA, 910 su 100.000!
 
Effetti letali della “guerra alla droga” e della “guerra al terrorismo”
 
Il lieve aumento delle esecuzioni nel 2014 rispetto al 2013 si giustifica con l’incremento registrato in Iran e in Arabia Saudita. Invece, se si dovesse confermare il trend dei primi sei mesi del 2015, registreremmo un numero record di esecuzioni alla fine dell’anno. Ciò è dovuto in particolare all’escalation registrata in Arabia Saudita, in Egitto e ancora una volta in Iran e alla ripresa delle esecuzioni in Giordania, Pakistan e Indonesia.
La “guerra alla droga” e la “guerra al terrorismo” hanno dato un contributo consistente all’escalation della pratica della pena di morte anche nel 2014 e nei primi sei mesi del 2015.
In Iran, l’elezione di Hassan Rouhani come Presidente della Repubblica Islamica, salutata imprudentemente da molti osservatori come una svolta nel regime iraniano, non ha portato nulla di nuovo per quanto riguarda l’applicazione della pena di morte; anzi, il tasso di esecuzioni è nettamente aumentato. Da quando Rouhani è entrato in carica nel giugno 2013, quasi 2.000 prigionieri sono stati giustiziati in Iran. Il 46% delle persone giustiziate nel 2014 è stato impiccato per casi relativi alla droga e questa percentuale è schizzata al 70% nel 2015, al 30 giugno.
In Arabia Saudita, l’ondata di esecuzioni è iniziata verso la fine del regno di Re Abdullah, morto il 23 gennaio 2015, accelerando sotto il suo successore Re Salman, che ha adottato una politica di “legge e ordine” in particolare nei confronti dei trafficanti di droga. Circa la metà delle decapitazioni nel Regno saudita sono state effettuate per reati di droga.
Dopo una moratoria di fatto che risaliva al 2011, l’Egitto ha compiuto almeno 15 esecuzioni nel 2014 e almeno altre 12 nel 2015 (al 30 giugno), di cui sette per “terrorismo”. Dalla cacciata del Presidente islamista Mohamed Morsi nel luglio 2013, il Governo sostenuto dai militari ha intrapreso un giro di vite implacabile nei confronti del dissenso politico, colpendo in gran parte i sostenitori di Morsi. Nel 2014, in sei diversi processi per reati di violenza politica, i tribunali egiziani hanno irrogato condanne a morte preliminari ad almeno 1.434 membri della Fratellanza Musulmana. Questo è stato il maggior numero di condannati a morte nella storia moderna dell’Egitto.
Tra i passi indietro registrati nell’ultimo anno e mezzo, la ripresa delle esecuzioni in Giordania è forse il più negativo, perché la pena capitale non era praticata dal 2006, grazie soprattutto al volere di Re Abdullah. Nel dicembre 2014, sono stati impiccati undici uomini condannati a morte per omicidio e nel febbraio 2015, due prigionieri di Al-Qaeda sono stati giustiziati in rappresaglia per l’uccisione di un pilota giordano da parte dello Stato Islamico.
Dopo una pausa registrata nel 2014, l’Indonesia ha ripreso le esecuzioni nel 2015 e, al 30 giugno, aveva già giustiziato 14 condannati a morte, tutti per reati di droga. Svuotare in tal modo il braccio della morte dai detenuti per reati di droga era una delle promesse elettorali del nuovo Presidente indonesiano Joko Widodo che si è insediato nell’ottobre 2014.
Nel dicembre 2014, il Pakistan ha revocato una moratoria che durava da sei anni sulla pena di morte per i casi di terrorismo e nel marzo ha formalmente revocato la moratoria anche per tutti i prigionieri condannati per reati comuni. Dal 17 dicembre 2014 al 30 giugno 2015, almeno 181 persone, tra cui 25 condannati per terrorismo, sono state impiccate in varie prigioni del Paese.
Negli Stati Uniti, la pratica legale della pena di morte è diminuita di anno in anno, ma la guerra extragiudiziaria al terrorismo, in particolare attraverso l’uso degli aerei senza pilota, i droni, si sarebbe intensificata nel corso della presidenza di Barack Obama. Le uccisioni sono state estese anche a cittadini americani all’estero sospettati di attività anti-americane, cittadini che in patria avrebbero avuto un processo con tutte le garanzie possibili, anche quelle previste dal sistema arcaico della pena capitale.
 
Porre fine non solo alla pena di morte, ma anche alla pena fino alla morte
 
La campagna di Nessuno tocchi Caino per l’abolizione della pena di morte nel mondo non può non includere quella per l’abolizione della pena fino alla morte e cioè dell’ergastolo.
Quella sull’ergastolo è una battaglia storica del Partito Radicale che ha avuto un’eco prodigiosa il 23 ottobre scorso quando Papa Francesco, parlando ai delegati dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, l’ha definito “una pena di morte mascherata” che dovrebbe essere abolita insieme alla pena capitale.
La questione dell’ergastolo sarà al centro del prossimo Congresso di Nessuno tocchi Caino che si terrà entro l’anno in un penitenziario italiano dove c’è un’alta concentrazione di ergastolani, dove far confluire il maggior numero di condannati all’ergastolo, a partire dagli iscritti all’Associazione.
Il progetto di Nessuno tocchi Caino sull’ergastolo si articola su due piani.
Il primo, a livello scientifico, è volto a documentare gli effetti sullo stato psico-fisico del detenuto della lunga permanenza in condizioni di isolamento in attesa di un “fine pena: mai”, analogamente a quanto la letteratura scientifica ha già ampiamente documentato nel caso dei condannati a morte (il cosiddetto “fenomeno del braccio della morte”).
Come scrive Papa Francesco, “la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio”.
Il secondo, a livello giurisdizionale, mira a presentare, a partire da casi concreti, ricorsi nazionali – Corte Costituzionale – e sovranazionali – Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e Comitato Diritti Umani dell’ ONU – volti a superare l’ergastolo, quantomeno nei suoi aspetti più duri: il cosiddetto “ergastolo ostativo” (sui 1.576 condannati a vita ben 1.162 sono ostativi, cioè esclusi per legge dai benefici carcerari) e l’isolamento in regime di 41 bis (circa 700 detenuti).
Dopo la storica sentenza del 2013 – Vinter vs Regno Unito –, nel 2014 la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha emesso altre tre sentenze, tutte per dichiarare casi di violazione dell’art. 3 della Convenzione il Life Without Parole previsto in Turchia (Ocalan vs Turchia 2), quello della Bulgaria (Harakchiev and Tolumov vs Bulgaria) ed anche l’estradizione negli Stati Uniti con il rischio di essere condannati al Life Without Parole (Trabelsi vs Belgio).
Il progetto di Nessuno tocchi Caino sull’ergastolo si svolgerà in collaborazione con il Prof. Davide Galliani della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano, coordinatore del progetto europeo “Right to Hope”, e con il Prof. Umberto Veronesi, da sempre contrario all’ergastolo proprio a partire dai suoi studi sulla plasticità del cervello.